La musica neo aritmetica sul pentagramma
La musica aritmetica si libera gouache sfiorando densa la schiuma, d'incesto d'un apocope al limone. In curva. Uscendo plurima di gran carriera dalle finestre sfarfallando infinitesimali tropici, aprendo in quell'uscire, lame per tagliar. L'acciaio di ogni portiera divaricata al fuso orario, messo in punto dall'elio a diatomee sulla parete dell'emisfero ghiacciato. In fronte. Che poggia il proprio selvatico plantare, sulla verticale di marmitte iperboree. Dalle volute fumanti, e intabarrate d'arance piramidali. Le quali salgono. Mosse dalla gravità. Sulla cucina elettrica intessuta di guano, a quintali e grondaie per chilometri. Al di sopra del ribollir d'acqua ragia. Scuotendo alberi di teste cittadine, scoppiando tortore che scivolano in tutta fretta impigliandosi nell'aria. Presso stelle del firmamento. A fuochi accesi. Che si librano a intermittenza di marroni al cielo. Roventi mine su palme di marines. Vivi. Con molluschi appesi al filo minerario. Falò di mimetica incolore tra le nebbie. A chiazze allineate nel disporsi a flebo, in quel frollare a nubi tutti i giorni. Che dal muretto rigonfiano d'iconostasi l'attenzione. Al gatto che paziente, balza mietendo il plumbeo scomparendo. A puzzle cromatico nel midollo del crinale. Di ogni schiena rivolta a individuarlo meglio. Aguzzando gli occhi verdi che son laggiù da tempo. Illuminati. Sotto l'eretico rollio di brezze a petali iperborei nel definir a pennellate i corpi. Pigmentati e viola, arcuati d'un pezzato canide col cranio ingioiellato, che insegue sull'altare dimensionando il muso. Dagli amori che verranno. Sotto il colbacco, in pelo d'astrakan.