lunedì 17 giugno 2013

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Spengo le dita transeunte, abbrustolite sulla via del sole endemico, rimirando tra le mani il laccio che mi traccia gli occhi nella trasformazione della palude sulla chiatta delle deroghe; chiatta emostatica che compare alla cupola illuminandola; di luna verticali; in squarci luridi bovini combattenti sulle ore controverse contro vento; per conto terzi parcheggiati al limitar del bosco, manifestano il mondo appallottolato all'orbita programmata; in cui non si distingue l'immediatezza poco avanti arrugginita; da un revolver sul ciglio della colomba glabra; le manie hanno l'obbiettivo a spirale nel mirino, di un rifugio bruno dalla forma ad esca e col labbro rosa dalla ricurva punta. Che non si distingue più, su nessun pianeta giudiziario o velivolo trasformista che durante il volo, risuoni in un barlume di giustizia. Che si riverberi insinuandosi nella crisi. Del libro professionista o chiunque esso sia, col minor potere contrattuale salvo le eccezioni di ciascuno, con la parte normativa nell'impugnativa crespa.         

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