venerdì 21 aprile 2017

330

 
 - Film -
 
Se amassi tutto sarebbe concreto, ma non amo e vivo costantemente nell'illusione di vedere ciò che ho visto: mentre qualcos'altro di nuovo ininterrottamente avanza; pellicola fin che morte mi divide nuovamente. 

329


 - Il passaggio a livello -

Transita il treno si alzano le sbarre si ridisegna intera la campagna, le carrozze scivolano sulle rotaie sferragliano frizzanti nell'eco. S'intona il suono rattrappito della campana in baci d'occhi va tacendo. E 'una grandiosa serata per morir d'amore: l'orchestra mi confabula saette raggelate nel frigo maculato del cielo si dipinge cocente luce poi debito crepuscolo sulle labbra mi dice: d'amore non so.     

giovedì 20 aprile 2017

328


- Pulsus -

Nel conclave le meches di nubi si accoppiano ai venti lasciano le vele si ammainano tra i petali corti del vino. In carrozze enfiate mi congratulo di pensieri in bianco nero sullo specchio retrò del banco ottico appoggio il revolver. Il muro terra aria di schiena le veneziane verdi ramarro sfiorano i cavalli al galoppo. La gamba del legno passeggia priva del corpo sotto il flash dell'occhio di pesce. Non ho che una venatura sull'asfalto: s'incrina in depressione lungo l'argine dell'ulna. Poi riciclo i dossi in cui la luna ripone i muscoli di pianto Greco. La fune ritta d'attività cammina nell'improntitudine. Dall'alto del grattacielo intravedo il pianto sotto traccia che m'innonda il cuore borsistico del poncho.

327


 - Locusta -

Come la frontiera della locusta in vita rinata morta a mezz'aria tinteggia di bluette vermiglio l'ordine a meridione, il telaio fuso all'ombra d'acque invisibili defluisce ad autografo in colti eventi immuni al semplice trapezio. Trapela dalla rocca l'attorcigliarsi dell'anima, bistecca sbattuta in curva lieta moda innocua rapita nel vortice scamiciato d'un nodo al ventre. Su e giu dalla pietraia ad unghie di limoni. 

326


 - Flatus -

Le squame, i polsi diffratti è ciò che alimenta la bambola priva di chincaglieria. La luna incendiaria, l'antiquario sulla penna, il danaro col passo d'appuntamento nel resto dell'ora per rivederti capirmi in che amore la pesca rotola nel foro del silos. Vedi la pezza di lamiera lucente in fuga, dalla corona di borchie si tuffa nel piatto periferico. Tu m'inviti io ti soffio all'orecchio di mercurio sino all'altro lobo. Il ciuffo di capelli oscilla disequilibrio sulle labbra da cui sbuffi il futuribile. Supero la camera vuota a perdere lancio nel panorama technicolor il ponte di venti angusti vetusti. Nell'orbita dei movimenti il fuxia non perviene, vola dai rami in città in cerca di cibo sferico. Sulla punta dell'iceberg spolvero a tutta prima la minuscola arnia che affronta il cavaliere d'Italia con la lingua peduta delle gru. Sotto la seggiovia il piombo installato a tutto punto. La giacca zuccherata ad ogni curva lacera lo specchio universale con cui ci si allaccia alla regione. La ragione dell'asso è in tavola sulla verticale.




325


- Vox -

 La revisione in splendida orma calza scarpe d'un lustro deceduto sulla via che parte arriva allo stesso punto. Estratto emancipato sulla muta cordigliera serafico me ciò che sono è inerte sulla foglia e non cuce all'albero l'aiuola ma circola conforme alla torma di passeri albini nella migrazione. Rosa lo scoppio ritardato a canne mozze pensa ai fatti miei nel verde brillante in te e in tutte le direzioni.

sabato 15 aprile 2017

324

Vivo la regressione in cui mi abbandono. Mi cerco mi ritrovo diverso in un altro me medesimo. Misconosciuto vuoto di cose precedenti, siedo al tavolo sul pentagramma vergo note ubriacanti, fuoriesco dal senso del tutto che mi avvolge. Tu non ci sei, voi non ci siete. Lastricato di pochezza intellettuale colmo di energia m'incammino sulla via allontanandomi con la mia valigetta 24 ore dove rinchiusa vi è la nuvolaglia che si dispone a pioggia battente.

giovedì 13 aprile 2017

323


 - Menù -

Aggraziata sul masso d'imbarazzi tulipani fingi tutto tranne l'intelligenza. Tra pieghe sorrisi ti dibatti a volo di Concorde mi attraversi come formula algebrica dell'esistenza evento cui imprimo un calco. Dialettico fuso lo scalcio tra le mani. Lo spampanarsi di fiori sotto i getti a pompa riducono le piccole formelle geografiche a casti gnomi. In cui costruisco teorie comparsate su tracciati triangolari dove le ciglia sopra le palpebre toccano le ciglia da basso. Scendo le scale su zampe da gallina, fondo anelli da stratega, porto la veste stropicciata. Lava incandescente la avvolgo nel sanguinante straccio irreale fonte da cui tutto il tridimensionale scorre. Chiusa la porta dell'immacolata, lievita la magia dal naso alla bocca ai mitocondri, da cui il filo del gran maestro cerimoniere, scorre sui pattini dell'episodio immolato a fil di cuore per te quando canti; ti odo nei brividi uscir favella dell'amore.  

mercoledì 12 aprile 2017

322


 - Il sig. Aplomb -

Senza conoscenza circondato dal silenzio l'inconscio cogita lo scacco matto in cui vive. S'impedisce la redenzione per poter salire la scala della virtù di cui è privo. L'automatismo al non pensiero gli rende il tono di voce cacofonico leggermente impastato ma chiaro d'un retrogusto che si staglia su barricate di supponenza, di chi nel fondo dell'animo è abituato a non controllarne il flusso ignaro: per ciò disprezza. Non ha qualità, non lo sa, non lo rivelerebbe a se stesso se lo sapesse. Per quanto possa apparire introspettivo vive il doppio il triplo di se stesso cammina nella medesima storia dentro un ologramma di cui non è stanco. In certi periodi quando si ascolta stenta a riconoscersi. Nel tentativo di fare conoscenza con il proprio io vive nel terrore dell'autorevolezza che non ha, causa della sua incapacità di concentrarsi a qualcosa che non sia il suo hobby preferito. La frustrazione occultata di questo evento percepito alla lontana, fa si che la rovesci sul prossimo per potersi elevare con dignità alla vita passando inosservato sotto la sferza della colpa. Della vita non sa che farne tranne mantenere un aplomb disincantato. Racconta frottole all'alterità per far passare il tempo.

321


 - Phisique du role -

Ha il Phisique du role d'un manovale costruttore di piramidi al tempo dei Faraoni. La barba nera gli allunga il volto, gli occhi svegli di chi non sa il perchè, il torso nudo è glabro da fanciullo. La pelle gli si tinge di bronzo gli occhi di chiaro, mostra d'avere il carattere del fumetto La Linea; personaggio che incontra nel suo cammino numerosi ostacoli spesso si rivolge vivacemente al disegnatore. ( Il cartone animato è costituito da un uomo che percorre una linea virtualmente infinita di cui anch'esso è parte integrante ). Si esprime in dialetto quando sente di avere confidenza con persone individuate non estranee lancia versi gutturali come linguaggio d'intesa, diniego, assenso. A volte usa qualche parola distinguibile che rivela l'ego nascosto pronto al litigio dai tratti territoriali. Conosce qualche parola eccentrica che gli pullula tra le labbra come una pubblicità di cui non riesce a liberarsi e qualche dozzina di lettere come uova sode che non usa se non per disegnarci un paesaggio. Quando si ubriaca si esprime con le vocali aiuoe; la lingua lascia un sentiero di bava sul tavolaccio, sapore nella bocca d'antico legnaccio col nodo da marinaio nel pulviscolo ocra mangiato dalle tarme. Alla Domenica con le consonanti e le vocali al posto giusto riesce a farsi voler bene tra le lenzuola. Torvo, burbero, fiero, col verso a nugulo sussultorio di vespe acrobatiche nella gola, mi fa un cenno a semicerchio con il braccio per dire " abasta" con l'alfa privativo.     

martedì 11 aprile 2017

320


- A due chilometri -

A due chilometri da qui il sole nel nuvolo una patina di nebbia che mi avvolge celebra il santo giorno. Cammino sul lastrico da cui traspare sotto i piedi il girone dell'inferno. Si muove sguscia in lingue di fuoco dalla silhouette crotali e cavalli serpeggiano nitriscono scalpitano. Il rinsecchito sulla via della trasumanza di pensieri vagabonda con le pupille enfiate nel silenzio congeniale al suo neurone con cui di solito gioca a tennis. Lupo solitario della steppa in cui s'abbronza s'incendia il pelo sullo stomaco, tarpa le ali a farfalle alle quali in un secondo tempo d'un cortometraggio dipinge la chiglia. Con l'aerografo a pressione accende la miccia alla coda delle sirene le cui squame effondono profumi di Minerva di cui mi inebrio, mi sussurra al padiglione auricolare la propria firma sulla buca con linee di febbre; succursale del cimitero dei Ramones durante i concerti. L'uccello dalle piume di ferro che riduce la sessione ideogrammatica a cencio d'una mangiatoia per meticci col rotore mugolante sotto le gambe invia la postina dai dreadlock morbidi stopposi color del rame artistico. Inforca gli occhiali di Chagal, guarda il nulla, non mi vede, forse non ha orbite, non mi consegna una lettera in cui c'è vergato da Dio la frase aurea che mi tatuo a futura memoria sull'avambraccio tra la Madonna di Czestochowa e l'ancora di ghisa: non li indurre in tentazione ma liberali dal mare che li affoga.



domenica 9 aprile 2017

319

 
Ruotiamo indipendenti nell'orbita di una corazza di cuore. Il filo incantevole d'acciaio s'intreccia col destino che ci unisce nell'occulto. Tu vieni dal passato io dal futuro: ciò che dici e pensi è già morto.

318

 
 - Ville lumière -

La donna si avvia verso la fede, indossa il cappotto ville lumière, stringe un mazzo di gladioli gialli, inchioda sull'asfalto i tacchi dorati dell'universo. I capelli sotto chiave li scioglie rinnovati da lacca e stucco, la plastilina sul viso le occulta amori restaurati e crollati goccia su goccia a tempio pagano.
Ciò che non si vede è la durezza amabile del genio femminile intessuto di lieve corallo rovente.