lunedì 22 agosto 2016

215


- Je m'en fous -

M'ingollo nevrosi damascate al piedistallo di carta. Non mi placo se ti vedo, penso ad una spinta fuori programma: graffetta letargica che scivola dai fogli. Sulle tue arti erogene per chiudere le porte cambi vetri al piano alle finestre. Il zigrinare dell'aria al morso della cimicie vira all'angolo acuto che si spezza in arma doppia. La conquista torreggia sulle rapide, fluttua a voli radenti in ali millesimate. Nell'eremitaggio sto a gambe all'aria, reduce a piccole entità con scommesse di sguardi. La folla reale informa ciò che vede. Non sopporto la normalità. Il collier sulla clavicola mi uccide, ogni tensione è schiaffo, la brezza, l'uragano, il pianto, l'emozione, tu che vedi e osservi più di ciò che esiste, tacendo anticipi l'intenzione. Arrossa in te il giardino dipinto all'alba nello sguardo che pulsa. Il valore di un uomo lo misuri se ti è contrario. Seduto soffio l'eterno, precludo squilibri, vivo in mezzo a questo bailamme, non vedo la riva di qua nè quella di là. Marchio e giro il torchio d'amore piacevole ed insensibile. Fossi qui la mia pazienza a grandi speranze resusciterebbe da morte certa.  


giovedì 18 agosto 2016

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 - Tranne il cielo -

Appena più grande del diametro ghiacciato il gelso si declina capello. Sgocciola il vento asciuga. Ad ampio spettro il fumo di sigaretta sulla scarpa, si sversa fuori dalla stagione. Le ragioni millimetriche hanno la loro giacchetta bianca blu al molo di mariujiana. Si gioca sulla rampa delle tre carte tranne il cielo, collima con la fine del mondo dietro di noi. Nel rispetto della nuvolaglia la cresta ventre giallo cresce a stretta di luce, scendo e ti vedo il volto pietra nobile nel taglio d'un cameo.

213



- I'am -

Sfuggo per me stesso al brio, alla noncuranza sino alla leggera tensione del nulla. Che uccide di sana pianta il pugno disordinato; è stordente il tuo stormire profondità egemoni di firmamento. E'indubbio ti amo, all'ombra di un periplo inciso sul labbro pruno, di passione t'incontro nel bacio. La conquista nel pieno della controversia è rosa, il carminio esanime sotto la chiglia dei respiri ama, di tutto punto il vestito ti scivola a terra. Affosso il disco del sole e guido alla velocità della luce psichedelica. Privo di scopo furono gli anni dove l'esistere ha ricordi a cura del nulla beffando con stile. Furia la morte priva d'aria senza l'amore che nutre, rinsecchita deambula. Potessi ridere di me nell'afrore della tua pelle respirare la danza che ammalia e sul cuore poggiassi il capo vivendoti coscienza.   

212



 - Us -

Corico la testa sul cuscino di notti sparigliate odo conchiglie nella risacca. Il suono si schiude rotola lemme sul nostro fondo. Nel fremito l'inconscio mi ricopre a fronde sentieri su cui il brogliaccio in tempi all'aperto ci sveglia. Sul crinale i motivi si avvicendano la coda del tuo occhio è l'emozione che ci dirige. Da un corpo all'altro plano a voci avvoltolate riconosco la mia la tua. Nient'altro eccetto noi. Scalo i pioli dell'emozioni iniettate all'amo l'ambrosia ci ricama discende dalle labbra ai corpi nudi.

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 - L'amore nell'aria -

Tu che illumini di chiaro il resto siedi, manipolo di pensieri a pastello aggrovigliati in corde di violino accese di sensualità. Cristallina Dea delle acque, non scompari inghiottita dalla nuvola grigia, come la luna rossa al tramonto ricompare inesorabilmente per tutta la notte, così vige in te l'epiteto giravolta che si pettina su di me nell'amplesso. L'abbaino socchiuso sull'ode magica di una carezza, il maniero parallelepipedo di ghiaccio vetro sul corso del bosco che sfioro, s'illumina il tuo coperchio stellato. Ti reggi con la gamba accavallata sull'altra, guardandomi reciti un colore deciso da tempo dall'imo adorabile per me spettatore amante conclamato di amore che vedo ti seguo e taccio.  

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  - Men at work -

Ci sfogliamo di pelle nuda al sole, siesta sul declivio del bivacco ognuno si sdraia nel suo mondo. Sul sedile alcune mosche ronzano nere sulla spirale dell'aria dell'afa, dai calzoni di fuoco stanno distanti per luminosità. Il sonoro dall'alto vibra nel corpo sudato, entra nel timpano lo percuote animandolo di lirica napoletana. La lingua del regno delle due Sicilie stempera i lamenti convogliandoli sulle ciglia, l'ombretto calpesta il carbone distendendosi s'imprime sul tempo, lo osservo nel lisergico riposo che mi abbraccia. Spada e fodero d'un giorno sotto la canicola li sento abbaiare d'emozione in attimi primitivi di silenzio. La bonaccia dalle nubi che vedo mi acclama. Qualunque altra meraviglia occulta si dipana entrandomi d'invisibile appartenere a mozza fiato. Oltre la coltre dell'io il fuoco dalla benedetta lingua in bocca mi si annoda d'amore colorandomi il paesaggio di volti amati.   

lunedì 15 agosto 2016

209


  : - )

è un vortice che mi assale una musica che non ha tempo, vedendoti so di averlo desiderato, sebbene non fossi in ansia. Mi avvicino non provo nulla eppure attrai più di qualcosa di superficiale, ti bacerei se tu sorridessi al mio cuore. Colgo la seduzione della tua femminilità mi travolge, vedo gli amanti di cui non sono geloso. Rapido mistico il battito silenzioso del tuo cuore, ti cerco fuggi tenendomi la mano senza ferirmi rosa nella quiete. Vivevi tempesta nel malinteso nessuno dei due ha amato l'altro, eppure l'amore è possibile per chi guarda negli occhi senza timore ed irreale col timore nell'apocalisse che non giunge porgendo sentenza definitiva: nulla di tutto questo. Eppure nel nulla pare tutto accadere e non accade mai. Potrei amarti sapendo di perdere nel parlar di amore: pura utopia, eppure avrei decine di frasi che ci aprirebbero il cuore mentre osservo i volti incontrarsi nel desiderio felice in noi. Non so se sia amore, per non morire non ti amo abbastanza. Ma so che mi cerchi non vedendomi come desidero e vivo lontano da me dove non sempre ci sei; che l'occhio non veda il cuore che duole ti dimentico sulla regia delle fiamme in fiore con i tuoi occhi che sono in me.      

lunedì 8 agosto 2016

208


- Sull'autostrada assolata -


Non penso ad altro. L'inganno è intessuto di forza e pazzia se ringrazio il morire. L'abbraccio è l'anima d'un bambù dentro il picchio: serve la brina al crisantemo. Sapore di terra. Ascolto il fruscio che non rende presso la volontà. Incede la ragione superba di gran corsa. Virulenta la palizzata al buio cromato, non dà spiegazioni, allusioni, verità presunte. In orma su triplice copia battezzo la corolla in un bacio, mi avvicino, mi avvicinerei di più. Ammiro l'odore che emani, non sento. Volto per il delta, immagino cruna la duna di vesti, pudore tra le dita scivoli sabbia. La manica arsa dal giorno esausto sul dorso lirico del tempo. Mani segnate, le cicatrici dolenti dal morbido soffio. Il frullo motore, una stilla nell'aria, mieto chilometri d'amore platonico rileggendoti sempre di nuovo.


domenica 7 agosto 2016

207


 - Musa -

Ed è la vastità del tutto che cancello consegnandomi ferito. In ogni amore distaccato al canto, ne traccio la via riponendola sul viso. Così m'involo sulla superficie del nastro vi pattino sul ghiaccio in bianco nero, eroe per i film di notti fonde e insonni. So bene mi consideri figurante sul palcoscenico dove fluttuo vincitore d'un abbraccio già mio, non per questo ti amo. No davvero. Mi tradirei, cerco l'immortalità con la mancanza, il nulla resta celato al peso che cerco vago. Mentre tutto cio che tocco mi resta estraneo scompare e non finisce depositandosi alieno e vero di non essere mai, benedetto sul piatto dorato. Per amore in me, su di noi, sebbene io non ti abbia mai conosciuta col mio amore.

206


- Plectro -

Non ho nulla che mi susciti amore. Un capo burrascoso dall'alto plectro mi discende sull'occhio, fico maturo preda dello storno. Le radici della chiglia tintinnano sull'acqua che inttravedo, il sughero mi rende la battigia al volo sommerso del condor. Sulfureo di pianto mi adagio sulle gambe. A piedi nudi in avanscoperta seguo il codice dell'emozione, i fari accesi impagliano i tuoni in lontananza,  aggrego l'espressione all'amore d'un pensiero. Taglio la periferia, l'acqua oscilla a bordo pianta. Il fulgore di ciò che verrà lo porto in me, nella spiegazione onirica delle quattro arti al vento accordato al destino.

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 - Alla fine della fiera -

Sulle scarpe inglesi lamine per chi lo sguardo lo ammira senza cuore nè cura e consegna l'amore universale. La gratitudine la invio sul bacio in fronte. La polla d'acqua sulla luce asfaltata poco tempo ai sensi poi all'occhio determina il momento liberale sul piedistallo in carta. Col compasso seguo la mezzaluna in salita la marcia rende il miscuglio privo di sapore. Alla fine della fiera le conchiglie son ossa sbriciolate la parte viva scuoiata gettata all'ombra del caos nella borsa. Chiusa dalla zip, confabula infiammata. A bordo riviera, su cosa la libertà del bikini avesse espresso nel lilla, è l'odore preferito del concetto della moka del caffè che borbotta dietro la finestra. La questione si risciacqua sull'arenile, sente biasimare l'eccessiva bruciatura del nerbo floreale che si toglie levando il poncho.  

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 - Tuba jazz -

Le tracce a ponente, via principale in cui l'errore permette l'investitura ai panni sporchi. Sull'altare la pecunia si erge a svolta lunare bendata. L'ostensorio colmo di fiori recisi schioda l'approdo al molo modesto. Il portone quattro mandate si schiude, fora l'aria maledettamente. La mono espressione con cui divoro il trancio di torta ricorda il sole relegato ai margini. Piove sul luminare giorno, l'afa col sudore plana nel dodici pollici d'inchiostro. Una libbra di distanza l'amantide religiosa mostra il taglio sul seno laico. Coro di ferri del mestiere traspaiono nella loro opacità, dal sangue meteora l'orbita ferita. Libero la farfalla dal pugno, apro il palmo decolla la sfera legata al filo caotico. Lo snodo è la traiettoria: rivela la propria debolezza. Candore la biacca metropolitana che rinvia la neve sine die.  

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- Ave -

La saldatura degli arti, paleria di una tenda mai montata, frizza sotto il soffitto delle fragole. Inclusi i sassi la pirite brilla con la gonna a spruzzi marini sulle ginocchia. Ciascun albero frondoso mi ricorda la felicità d'un amore fugace, spensierato. Vero quanto uno più consolidato, vieta il passo eccetto le gambe solide piantate nella fanghiglia. Sul lunotto posteriore il riflesso degli artigli dell'aquila, ferma le piume felce oro suona e frizza l'aria. Le frecce di stazionamento inventano il lampeggio negli occhi del rapace, veglia d'amante la migrazione di migliaia d'uccelli in ferro battuto. All'interno il vortice. Mezze uova d'argento forano la calotta se l'uragano denuda specchi d'albume.

202


 - Hip hop-

Sono il possessore unico del mio occhio quando centinaia di barbecue accesi fumano al confine. Carne alla brace. Migliaia di uomini danno il lustro alla loro immaginazione tra le rovine individuano Pokemon Go, attraverso il cricco alla pallina virtuale, colpiscono lo inglobano. Tra le vie della cultura messa in tavola col companatico vi sono kalashnikov, bombe a grappoli, pendono code d'aglio dalla porta Greca e Slava. L'arte siede. Il teschio ha la fodera ad acqua di rose, la barba rossa dell'imam sventola sul litorale del sud. Il vento non è propizio non lo è più. Il ricamo in cotone nero tinto filo sulla frequenza ordinaria, fluttua statico sul bagnasciuga. Mi abbronzo steso sul lettino in piscina il sole lo chiamo per nome riappisolandomi sul letto. Attorno a me il vociare, slip, abbronzanti, creme.   

sabato 6 agosto 2016

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- Eppur si muore -

Fu monumento impiegato sul fronte dell'acqua, i piedi li vedevo immersi, la testa nel cielo colmo d'ossigeno, la vita secca solcata dal vento del ghibli. A terra il rosso mal pelo acquattato fiutava la libertà. La povertà dell'idolo in vetro si frantumava ricreando fattezze dalla rosa. Maschio femmina ruggine limone, stesso bicchiere astringente acclamato dai più. La magia del lusso rende immortali e immorali. Simile tempo ritmico scolpito dai bicipiti ai glutei, legati carne, proclamano la mortalità e l'ansia della fine. La caducità è colpo di falce che si vive, ci consuma sino alle ossa su cui si muore.