Latet omne verum
I ladri amano le tempeste, che ruminano sulla battigia. Amando chi sciacqua i pesci randagi poi lanciandoli, col respiro sull'argilla. Dopo averli raccolti impiccati alla roccia fossero un segnalibro organico. Affannandosi così, a superare il passaggio a livello, spinato. Dove il semaforo si restringe chiedendo sosta, al bosco. Sempre, foresta, o macchia lenticolare in ciabatte in peltro, che stanno indosso corte. Sulla punta del pungiglione. Dell'insetto di carne molla e refrattaria alla luce, che vola anticipando il vuoto d'aria. I quali per chilometri di peli son rifugio al cane nero di finzioni, che nuotando addenta il sole luminoso portandolo tra le fauci, da una parte all'altra del guado inesperto. E a seni nudi sulla piattaforma in legno, dove i bagnanti odorano le assi color dell'oppio che si brucia come un grumo di riso in bocca. All'incresparsi della pelle che nitrisce al diapason del vento, le verità più profonde e più nascoste.
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