Le porte della metropoli
Presso la metropoli di filo circolare, l'orbita del nome stampa su pergamena l'isola attraverso balzi edili che dalla sirena son soccorsi nel loro controllare. L'orologio di nevischio al polso che va scendendo e suona. Carillon nel simulare il tempo il quale rovesciato di rumori, con gli anelli nell'infrangersi, disgusta le mimetiche dell'albero. Con la torcia puntata nella diretta in cima al nido di schiume ardenti dove col pennino si va instaurando in plurali. A volti intonsi col naso spartiacque di frasche caduche e accatastate tra i filari di color champagne. Impomatate da un segugio che sbevazza. Ogni ora sul proprio figlio. Che pur pregando, si disse. Stessero in coppia nudi e col guinzaglio. Venduto a poco da qualche rana. Impantanata nella melma e cimata dalla parrucchiera in fango. Presso il guscio, e impreziosito dalle pietre dell'orgoglio ascensionale in quel disdoro. E si ode il risuonar dei tacchi all'aria; nell'accendersi di tranquillità. Col gas che aiuta in spese multiple, appresso a sporte piene quando si chiudono le porte. Bum. La capocciata alle porte vetro aperte. No chiuse.
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