La colomba d'ulivo sanguinante
Dietro le quinte del preistorico appezzamento. Le lastre rivolte al guru di tutti i tempi. Sono colori luminosi, nei rosari al plasma. Che impattano. Disegnati sull'orlo a pizzi, fulgenti rosa. Nel carillon annesso che scoccando; frecce rivoltandosi di letto in letto; serve gli occhi numerosi a fiocchi, bruciacchiandoli; arsi, rinsecchendoli senza peli e senza acque. Abbronzate, rimuovendo vene: strappate. Dai naufragi. Fiacche di muscoli e carni che si denudano bianche, mimandosi a molteplici specchi. In equilibrio al vento, formando un manichino. Biondo e stinto, con la parrucca privata di furbizia, che va celando. Stupidità: frana di pietrisco cabrio e dal sorriso infagottato che rallentando. Ai margini; sulla cassa armonica. Ode. Lo sciabordio di scarpe al collo, che informano gli scacchi. Sulla scacchiera di metallo e rame, tingendosi di giallo e nero, tra tutti i frutti e prezzi. A flutti. Confondendosi rallentando. La telecamera di retromarcia, che nello svettare. La vedi piegata. Sui corpi minuti di pettirossi, che balzando di rami in rami; e sui rami si amano di cinguettii. Riversi a terra col rametto d'ulivo in bocca per i morti rinsecchiti. Animali. Che non fingono la realtà che non hanno. Travolti sullo sdraio da altri, cadaveri inerti dall'inerme ombra. Che in braccio all'onda sismica si riversa, su tutti gli alberi stempiati che nel boulevard reclamano, per voce contraffatta. I pappagalli in cellophan strampalato, recitanti poesie dal percussivo riff; che svolazzano di anime avvinghiate ai campanili brulli. Cavalcando misssili terra cielo, trasportandosi all'inferno.
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