giovedì 24 novembre 2016

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- Mannequin -

Quando individuerò ciò che mi abbandona unanime lo svelerò all'idillio della servitù. Tintinnio dove scodinzola la tormenta di usci, finestre, cardini, bestemmie d'ingegno ed equilibrio. L'ala fattasi rutilante dipinge le dita frattali sulla toppa. Sull'era la mania a tazzine macchiate di rossetto a tavolino divampa inesorabile, tratteggia le direzioni dei venti nodosi. Poi il bivacco salottiero alla base rurale che spinge, alzandomi il lembo del parka, la tela yuta, Dio che riconquista. La prospettiva è la porcellana sonora, magicamente si sfiata il refrigerio gocce di pulviscolo nell'occaso, il sentiero poco dietro l'angolo dilava l'ennesimo bivio. Puntello i frutti dal quale si riconoscono gli alberi alla foce. Lego il solito parabrezza, parcheggia dove nidifica l'ibis. Le parole fluttuano in cima l'architettura, librandosi cicogna a endecasillabo suit. Vestite dallo stillicidio sorvolano gli edifici all'aurora delle periferie. Uomini e donne in sala d'attesa indossano il loro cashemere che sale dalla borsa in pelle di rettile al suono del flauto, bocca, naso, turbante sono cuore e testa nelle fiamme che anneriscono.

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