Che siano trasportate le magmatiche pinze a dita altrui
In questo loculo d'albero incartapecorito dove s'incarta il mondo; a bolle esagonali simili a formule dell'occhio; prelevate dall'eccesso d'un numero vincente; stampato a mosse dentro cubi d'avvenimenti anormali; senza maniche, digrignando l'effetto da suola di pagine assolate; irrorate dalla penombra a lastre color mogano per accostarsi al canto scaturito da meccanismi lineari; da cui escono banconote a triplice senso infiorato di gherigli sulla manica di scheletri in fila; grassi, magri, storpi, con un pianeta reteante dietro l'ugola; una foto appuntata sulla costola appuntita per riconoscenza; come quando la carne ricopriva il letto al fiume; in equilibrio sul filo puntellato di formule tematiche; di falò luminosi vestiti di bianco che ondeggiavano e chi sfoggiava un tailleur; chi l'etichetta della pistola brasa sulla primavera; chi schioccava le nervature in superficie sempre un mese dopo aver cancellato l'errore sulle acque; oppure i miracoli li cuce ancora col profumo sospetto sui discorsi catalogando le mediocrità; ma con la gomma da direttrice, sono in buona compagnia nella mia fossa privata; posso uccidere o riinverdire chiunque col cuscino che mi sostiene il capo supino e la lapide a bandiera da idolo in frantumi. Mentre il vento spazza spezzando ogni cosa.
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