- Diapason -
Dall'imo salgo all'equilibrio di pupille ascolto i risucchi di vortice nel vedermi passeggiare con la pertica equilibrio sulla fune. L'assenza d'organi chiesastici vien dal basso, il grattacielo si staglia nel verso esatto il cosmo sax d'erba spagna smuove i tacchi sotto il tavolo. Per il mare la spirale di gusci antiorari si rimette d'accordo guardandosi la polla. Conosco lo spartito del clacson, il pegno è nel pugno della mano. Si libra di palmo in spiaggia sino ad alveo lunare in due pezzi da cadavere occulto.
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Dal gin tonic mi si tatua in fronte un astro, la cannuccia proietta le Alpi nei suoi tornanti, legati ai lecci il leggio dei cinguettii, dal Paradiso fresco di guance chiunque si sveglia a portata di mano.
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Immerso nella stazza taro la frusta nella cintola. Con la mano dispiego sulle rocce stentoree i flutti, pungente dipingo le coordinate coda di piano. Abbandono il bicchiere nel vino, il telaio al retrogusto d'edera sfilaccia il ginocchio. La crepa del dolore brusco, il destriero desertico, il motore rombante, la miccia tra le gambe appare il blu trafitto dall'ariete. Infilo l'ago nel portico illune la replica non tarda ad arrivare le orme invisibili in centinaia di anni creano il pubblico sul filo di cartapesta.
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