- M. Davis -
Chiocca la ferraglia sulla rupe in quinta essenza scavalco il mare da cui traspare l'indigenza a valle. Abborraccio le prefiche, casette al mercato, s'invola il barbagianni nero sul ramo del quarto stato. I filosofi leggono la coda in ferro poi squadernano la sanità sul selciato. Svirgolo il destriero, frusto i legionari, la candela sempreverde accesa al levar della suola trotta sul muscolo esangue; in bocca ho la rosa di carne con cui sfioro il labbro del sole. Sul palco decade il capriccio per cui rimuovo il ciglio sotto il vuoto. In posa dall'animo estroso la cinciallegra in soggezione manifesta si desta all'impiedi, messaggia all'aria il verso m'insuffla di dobloni la beata mattinata. Un amore. Nell'assolo di pensieri azioni si riappisola all'interno del drum/ base dalla lama ritorta, il pop elettronico non spiace la sera, ora il jazz la fa da padrone. Non ho mai apprezzato il sound di Chet Baker, rammento di aver amato Bird e l'incommensurabile Miles. Sul ramo la suscettibilità della nottola contempla il da farsi. Dai talloni il cocaburra s'innalza nella voliera anatomica interna, mi aggrappo alle ali mi siedo sul rostro il tragitto ad emisfero in balia dei venti, giungiamo al ramo della sensibilità dove è fatica amare la contemporaneità che s'incendia per autocombustione. Seduto, cocaburra in spalla, palpebre chiuse.
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