domenica 27 novembre 2016

272



 - Fidel -

Sovrappongo la litania al rombo elastico che funge da calibro per farfalle, api, coleotteri, ogni cosa che possa rendere un'opportunità incluso il creato asperso a gratitudine respiro di Dio non avendone l'autorità la caratura certo. Aggancio il senso del dovere all'uguaglianza: è la divinità umana che lo richiede, conservando l'inusuale debolezza foro nell'anca, il cranio col medesimo foro, la crematura del nemico tavolozza a contrabasso su cinque corde per l'addio. Per ciò miro all'ordine dall'eternità, il tempo non è che l'augello. Tu seduta li dentro nel lessico d'istanti poi minuti da musa percepita amore ti schiudi in corolle coscienti. Petali soggettivi su gambe braccia corpo oggettivi, forestiero nel regno dell'abitudine ti scorgo nell'intùito da donna. Silente esplodi il battacchio ad animo circonflesso, con l'arco scagli frecce su cui oscilli colpendo la campana sgretolarsi nell'umido del suono di un crash. A calci lucenti rovesci le radici rinsecchite su cui cammino in controluce. Il monarca di bronzo dietro la finestra milita sacro sul desco dove ozia, gloriosa la distanta, occupa la rinascita fissandolo. La morte è fioritura molteplice, dinamica dall'estetica sorniona, taglia i fili fin dove vuole. Il giogo propone la noia dell'esistere. Tra le moltitudini mi lavo i panni interiori laggiù, nel crollo di ognuno si edifica la nostra fantomatica liason dangereuse. Al fiume il forte dolore per la zattera che riemerge in corsi / ricorsi dai flutti sventola bandiere nere. I tronchi da cui scendo odono minuscole ferite ai talloni che sorreggono gli speroni negli stivali di pitone. Barbiere hipster taglio la barba al cadavere, accurata toeletta per l'ultimo viaggio. Ad occhi vuoti galleggio nella morte, di soppiatto gl'infilo nella tasca il pass in carettere d'oro / rosso porpora, viatico per il Paradiso.


Hasta siempre.

giovedì 24 novembre 2016

271


- Mannequin -

Quando individuerò ciò che mi abbandona unanime lo svelerò all'idillio della servitù. Tintinnio dove scodinzola la tormenta di usci, finestre, cardini, bestemmie d'ingegno ed equilibrio. L'ala fattasi rutilante dipinge le dita frattali sulla toppa. Sull'era la mania a tazzine macchiate di rossetto a tavolino divampa inesorabile, tratteggia le direzioni dei venti nodosi. Poi il bivacco salottiero alla base rurale che spinge, alzandomi il lembo del parka, la tela yuta, Dio che riconquista. La prospettiva è la porcellana sonora, magicamente si sfiata il refrigerio gocce di pulviscolo nell'occaso, il sentiero poco dietro l'angolo dilava l'ennesimo bivio. Puntello i frutti dal quale si riconoscono gli alberi alla foce. Lego il solito parabrezza, parcheggia dove nidifica l'ibis. Le parole fluttuano in cima l'architettura, librandosi cicogna a endecasillabo suit. Vestite dallo stillicidio sorvolano gli edifici all'aurora delle periferie. Uomini e donne in sala d'attesa indossano il loro cashemere che sale dalla borsa in pelle di rettile al suono del flauto, bocca, naso, turbante sono cuore e testa nelle fiamme che anneriscono.

giovedì 17 novembre 2016

270


 - 2 -

Ci sono molteplici fogli molteplici probabilità. E' il nitore dello squillo con cui si aprono le braccia che ci distingue. A personale arma la divisione globale si spiega nel sè. Sul grembo la Madonna avverte la lacrima sottile lama affluente in territori arsi. Dove è facile imbastisce il mio amore che non scompare per ciocche di capelli, ago, filo, cruna, cammello. Sul fine dell'estate taglio la barba che riluce paglia infiammandosi cavallo, compongo l'etica in dovere civile. Nello scafandro lego la tinta indovino il bordo crema del diverbio. L'angelo spicca il volo trascinadomi nell'affresco aggrappato al tallone. Si dispiega l'intro a fusione nucleare con un bacio d'addio per chi continuamente ritorna.

269


- Starnutire -

Non dirmi bugie, la porta ammorbidita dal frastuono incombe su di me, radura da cui oscillo anima a barriera suonata. La sacrestia è un'accappella algebrica, lampadine intervellata dal vetro a brina discesa. Il diapason non conosce movimenti sincopati fuori dalla riga del vespro. Noi immodesti, gli occhi crepati di blu, di giallo, vermiglio le unghie a donna sulla spiaggia, assolati avvolti a fazzoletti legati attorno alle città notturne bendati di lercio, vocalizzi su due zampe di cotone, polverizziamo l'ennesimo schermo. Carta che si sbriciola su di noi vetro zigrinato a gambe per aria. Al mattino ci bagnamo in laguna, vibriamo increspati come cenci coperti dall'eco; è il corpo che impera d'amore.

268



- La campana -

Intento al crollo del mito i lavori di casa li mostro al promontorio tartufato. Muso progno redarguisco lo speleologo dei sentimenti. Qualche mese in vacanza nella zona grigia supera la brezza. Mostra le faville il sorriso che ispira il non detto, trafigge la normale cadenza nei ferri del principio, la fine un colpo apoplettico. Nero in buca l'appettito dal ventre ferisce la pianta scalcagnata. Il rozzo cabotaggio del forestiero scolora il tarassaco tra gli ulivi, la morte a falce nella diretta apre tutte le finestre. Felpa da fenice la visita tra campagna città, dal trespolo passano i parvenù devastati dalla grammatica carnale. La penombra di voci leviga il candelabro la campana è sempre del legno.


267



 - Il giorno dopo -

Il nastro rulla la rumba tratteggia il sasso del buon vino. Dal basso ruota il caos bislungo in cui vige il numero del cuore. Fossero bravi cowboy dalla sussunzione feconda, come non puoi sai, comodo ghiottone sul divano stendi il capanno del gusto predicando muto. Nuda tragedia s'insedia dietro l'ilarità unica nel calibro oro del Giappone. La lingua d'aria da giullare, buffone, tetrante per ognuno, finge la teatrale comunicazione d'umore d'ardimento. Nell'hangar d'un'esagerazione l'indole dal passo anchilosato privilegia il sacro al regio, amore che attinge al patrimonio pop. Lo sa il campo gaudio al volo di sussulti e insulti, piccoli schiamazzi da sagrestia solenne ed inutile. Sottosuolo stucchevole in cui viaviamo timor e angoscia, la Grazia a intellettuali frustrati dall'anonimato a gogò. Amiamoci.

266



 - Alter ego -

Si schiudono i petali. Di mezza sera la quota del sole rovescia l'estate nell'acqua. Disposto al perdono il filo d'assenzio è la fiamma che brucia le notti annerendole. Tieni a parti invertite la commedia, il grigio sciacqua la mole di stelle in pellicola. Copro il pemeabile distanziandolo dal lume. Vegeta il palco, l'alga fluttua amorevole orrore nell'imo. Il nubifragio sulla radice, selvatica spuma la sabbia che occhieggia la staccionata duna laggiù. Riluce la morbida luna a corolla tra le nubi immerse di ècrù. Nel menù estemporaneo il nuovo nato s'agghinda al destino, dal vetro l'ugola suona le maracas. Il comitato è d'imperdonabili musici. Gonna di tulle, testa camouflage, la dinamica femminea slitta sulla mano gigante, cavalca nel bacio di cruda bellezza soffiata dal finestrino del tram della città.


domenica 13 novembre 2016

265


   E = mc 2

...non il liberismo fu l'artefice del momento, ma l'equilibrio cosmico e centripeto nell'essenza umana, roteava maschio, femminile, filiale, una coincidenza suprema che andava oltre ogni ideologia asfittica moderata, spampanata odierna, lampada fulminata. Un'orda d'idee uguali / amorevolmente contrarie diseguali / salvifiche di ferocia rivoluzionaria incontenibile nell'imo, sentenziavano al nostro destino il loro soffio vitale d'umanità perfettibile, la quotidiana romanza: nessun dorma...

sabato 12 novembre 2016

264


 - Thaìs -

Avvito corolle d'anice in rami sul rovescio. Al profondo temporale mi assicuro la vetta. Innevata stabile a capofitto, nuda nel mare in cui esercita capriole. Il lago sciopera, la curva batte le mani: quattro frecce da mula incendiaria. Privilegio il cono dell'ombra tra noi. La demarcazione a formula numerica è l'amalgama di molteplici graffiti. Si esprime fisicamente, la logica è nei baci sulle labbra.  

mercoledì 9 novembre 2016

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 - Pinna -

Qualunque cosa sia, lontano da lei illetterata gelosia di cui non sono abituato: ad antro oscuro riemerge dal passato remoto. Diadema colorato ad estro cotonato, drug queen rende magici i deliri circensi sulla groppa dell'ingenuità. Dirigo il disastro con poesia. La religiosità del corpo è perizia da vino novello. Il sentimento un precipizio che non riconosco, la disarmonia di suono e immagini mi rimettono al fuoco dell'arduo giudizio. Magma stellare nei filamenti ad artigli provengo a capelli arruffati. Mi vedi: dietro ogni vetro muovo gambe sproporzionate, braccia allugate, teste macrocefale, nasi abnormi: il teatro dell'assurdo. Sono io. Illustro il movente non chiaro: l'amore che non c'è lo prendo; vi lascio a secco di idee, le esprimo nella meraviglia che non seduce, al futuro che non sento, ciò che è verosimile mi piace, mi conquista. Silenziosa la gondola cruda sul palmo, ad algoritmo guarda il mare, mi sorride. Viceversa tu, sei la perla di pesce pregiato in cui lo sfregio è il tatuaggio miracolato sottovento. Nei marosi la pinna nera è della balena al buio.