martedì 22 settembre 2015

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 - oil on canvas -

al sole tondo cospargo l'acido cremisi disseminando gola e giorni. Vi aggiungo la neve del passaggio a livello sotto l'acuto mobile di alcune corde retrattili. Avvolgo il filo su cui il solstizio mi osserva. Consegno al presbitero l'ombra del proprio incedere là nel bianco. L'albero di cachi spaccato, è trafitto dal fulmine lucente; inerme con un braccio a terra non vede se stesso gravido di foglie verdi e odorose. Se cogli un frutto addentandolo, puoi sentire la polpa scivolare dolce di grumi sulla lingua a monte di forti e candidi denti.  

giovedì 10 settembre 2015

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 - highlights - 


S'accesero i riflettori sull'accorto sciame in trance agonistica, ogni lirica avrebbe corso i soliti rischi ignoti. Effusioni al palcoscenico rosso nero d'astio e sabbie, sufficiente vederli per capire. Alle spalle neve a punti inversi sgocciola sulle rocce conquistando elitre vittoriose. Prima di svenire negli odori, particelle d'eccellenza guadagnano ritornelli a cuore nero azzurro rovesciando le bandiere dall'anello inferiore. Calcio d'inizio. Allusioni ed ammiccamenti dei centrali sul piano dell'addio. Uno sguardo ai compagni. Qualche appuntamento; ambizioni sinfoniche malcerte per l'attacco, la corale esangue non tradisce mai se stessa. Miniature difensivistiche abbracciano il talamo sceso sbadatamente a perder palla: è un attimo malvisto, mal considerato. Goal. Il portiere raccoglie il frutto. La gamma coloristica ritma calma nello splendore dei contendenti. La sfera scivola monotona ricamando ogni mutamento umano d'indagine verde prato. Il centrale illumina la superficie dell'asse filtrando palla nell'immensità dei pali. Palla fuori. La voragine armoniosa che trasuda in me governa la favella caustica che sbotta in goal; Rete di luci notturne con occhi metrici nei tifosi sorvegliano la porta avversaria nonchè la propria. Tra maledizioni e benedizioni chiunque presagisce l'esplosione unanime dietro lo studio dalle cinque dita. Fama e creatività sul palcoscenico d'autunno dirimpettaio, lottano con la sfera. La reviviscenza fiorisce tra cose blande. Bicipiti tricipiti in una diatriba interstellare pigolano nell'atrito secco; la solita fola della cascata di diamanti in area o sulla mezza luna. Cascami di traversoni su modeste impalcature e l'inverecondo shut dalla distanza non ha fortuna, oltre la traversa. Palla al portiere, rinvio. Virgulti di elevazioni e falli dal cromosoma italico dettano la legge del taglione a metà campo. L'arbitro interviene. In remissione dei peccati il portiere getta acqua sul fuoco. Si riprende. Il tunnel è performativo sull'avversario. Il trequartista non frequenta le stanze del palleggio ricuce movenze e gesti. Classe e miseria nelle pagine di un ode, nel Darby della Madonnina la dose fugge in over dose, senza scienza non vi è eleganza, sebbene il tripudio sia dei colori: inquadrare la porta con palla fuori è come far l'amore con una sirena metà donna e metà pesce. Fase di stanca. Spalti ignoti, volti ignoti, il cronometro non scorre nella gioventù del match: controllo, non è così. Intervallo. Si riparte con ritmi blandi, riducendo il modesto abbeveraggio alla fortuna che fa sconti di fine estate con debolezze. Goal. Il portiere raccoglie il frutto. Il centroavanti porta la nobiltà che non decade brucia l'angolo d'un fazzoletto a ricami svelti, nell'accanimento il terzino sovverte l'ordine dell'erba, riformula istintivamente palmi algebrici a distanza. Come divinità i contendenti s'infuriano sfumando nei vapori tèt a tèt sorridendo seriamente. I fischi sono uditi dai più. Si riprende. Rozzo ed efficace la barba sul volto sano, il difensore incide nel nome di un Dio per caso. La casualità del passaggio in dote se misurato, non è una dote nella legge del contrappasso. La fatica si fa sentire ogni respiro è l'unione lucida tra bios e pneuma. Tiro parato dal portiere. Non è finita. Passano i minuti la sfera calcola tra i piedi la natura dell'altezza; il sortilegio atterra all'interno di un nulla, brano morto d'altri tempi verità mistica del triangolo dai e vai, traversone e colpo di testa finale: dall'ipotenusa al sette della rete. Goal. Il portiere raccoglie il frutto in zona Cesarini. Abbracci al termine di una partita combattuta e non entusiasmante. Vince chi se lo merita. Tutti sotto la doccia. Poi le interviste banali, il sapore di vittoria e di sconfitta negli occhi e le parole dette con finzione reale. E nello spettacolo appena visto, la verità non sia finzione.        

mercoledì 9 settembre 2015

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- Il borgo dei lapilli -

( breve sceneggiatura surreale )


Approvvigionai la morte con calcoli matematici avvicinandomi al cumulo di penne all'ossario. In breve l'aerodinamica estrasse il pomo liturgico, con la falce colpii il frutto nel picciolo. Le due metà, ruzzolarono sul tavolo d'acqua e vetro, rotolando sul porta ombrelli laccato avorio. La morte ottenne ciò che desiderava. Le riconsegnai la falce mi concesse di alzarle il velo che le nascondeva il teschio. 
Sul martello che avevo intravisto sulle scale vi era iscritto l'eredità per uomini e donne. Ogni lettera rinsecchita dalla ruggine sarebbe caduta dall'albero, spento la luna, smorzato il sole. Allungai la mano aperta. Dal palmo decollarono un igloo di sparvieri neri. Presi il mantello lo controllai sulle spalle, nascosi il martello sotto la cinta e divisi il manico dal metallo. Lo accampai nel forno, amministrando la fusione i lapilli di fuoco la cenere. Il manico lo ridussi a piolo per la scala anemica e fruttifera sotto la chioma. Vidi la strada. Una crepa non rimarginabile  risultava umile ma gloriosa bigiotteria per l'asfalto depresso i fiori erano campanule sul verde. I viandanti col cielo terso avrebbero lambiccato nel futuro. Il trambusto dell'ordine impartito si scagliò sulle cime nevose. L'aquila nella spirale in quota, con l'ala ardeva l'occhio di fieno del cavallo nella stalla. Dalla valle il fiume friggeva calore termale, basso tra la rapide. Ruotammo la macina sui diamanti, il coltello nello scatto percorse l'aria ricamando in fil di ferro il taglio che disegnava con la lama. A tergo a passi laterali sul cornicione il cadmio inviò una lode, rovesciò i propri sentimenti senza errori. Un sermone fuggì dal risvolto dei calzoni un colibrì in ascensione si tolse il ramoscello dal becco con le dita. La campana del borgo suonò le frequenze su tre rintocchi. Il ragazzo con le cuffie da Dj ne contò di più. Era mezzogiorno il maestrale presso il cespuglio di cardi, visse l'ignoto. Gli amanti con la bacchetta centrarono il loro viso per il selfie. La slavina mirò le loro schiene. Salii di nuovo in sella galoppai l'infinito azzurro.