venerdì 22 maggio 2015

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  - Graphic Novel - 

Fu il prestigio con cui si presentarono le cinciallegre. La monogamia risaltò quercie griffate nei denti inporcellanati. Il porno consegnò i seni insaccando la mitezza. Rimisi la vita in un vagito, incelofanai gli occhi, afferrai le palafitte nude; nel tuffo congelai il pane. La roccia intuisce il ramo, è di yuta l'acqua rafferma. Nuoto duramente nel cratere, supero cristalli, scorgo televisori sul fondo. Accendo i fratelli dalle numerose braccia, polipi dalla ventosa in uso per separè d'una graphic novel.

Ciuffi di morte rigogliosi scendono pedissequamente a lampi e tuoni. Sulle cosce i larici sorvegliano l'orecchio silenzioso della polvere vibra nel teschio circolando abbracciata allo sciabordio di diamanti nell'acqua. Acerba scorre nel giardino ripieno di sedute. La brina della cometa rugiadosa sbriciola la coda: scodinzolava valori. La chiocciola naviga sull'asfalto, apre il rubinetto dei debiti: assaporando un cocomero fritto, abbaio privato del verbo inverecondo come una Santità.

Le guarnizioni mentali slacciano i petali risorti dalle maracas. Diffondo le sneakers in cuio ripetendo concetti brevi, su lande dalla scollatura a V. Al nodo sabbiato carico l'inesperienza: il caduco sentiero monta lacustre, finestre la cui voce impasta il ventriloquo. Soffio dove solo tu puoi guardarmi e mi risponderesti cospargendomi carezze al cuore. Muore il battacchio in un sussulto s'accoppia al ruggito della campana. Rintraccerò il coraggio che ho sepolto per amarti come ti desidero.

Piovve a maniche corte sulla retromarcia delle locuste. Sbrinai i cieli a squarciagola avvoltolai i cuori con il fil di ferro. Dal volto dirimpetto sollevai la zip attendendo si chiudesse la porta del futuro. Interrogai le curve brevilinee dilaniate dalle spezie, l'ombra passeggera declinò sulle posate. Nessun nugolo d'insetti ruotò nel fiume ritorcendosi fune al vento. Al filo in luce l'interludio acquistò slavine dalla capienza di un quadrante. Lance sferiche intermedie inviarono la tessera alla solita ora.

Il tunnel non era che un roseto per filosofi defunti. Il ruscello bagnava il genio spento, flesso torpore di ogni fotocellula che volasse. Proiettili in carne combusta filmavano scudisciate sulla roccia friabile d'intenti. Il cartello che vi trovai nell'antro recitava una storia breve e ignota: amo profondamente il mio cappello, il cane, il fuoco lo addestro, non rassicuratemi. Ho l'orgoglio per edificare il crollo di chiunque tranne, per me. Poichè provengo dall'aldilà e la nudità è la mia sola ricchezza. 

Dirimpetto l'eclissi strappandosi rise accasciandosi a corpo mistico, il cherosene macchiò chi evocava l'orbita dissolta. Il tacito raccordo nel crogiolo divaricò i raggi tempestosi. Si sollevarono le onde a criniera serrata, il gabbiano estrasse i numeri della trama, l'ordito fuse paralleli. I meridiani a piuma caddero lacrima piramidale nell'occhio del ciclone. Ruggini polverose a batuffolo di soffi catastrofici desquamarono l'abbaino in chilometri di polline, arresi al fuoco d'avvoltoi dal sangue blu.

Interrompo falde novembrine egemoni nel corollario in gonna corta. Mantengo l'inconcludenza e la riflessione monastica è per l'architrave; stellare genera posture impopolari, vuota parentesi tra due mari. Sulla pietà di pietra pomice la destrezza commissiona torsioni auricolari avvincenti. Mi dimetto naufragando me stesso. Cambio abito quando indosso il suit ad anelli incorniciati. L'ombrello è una struttura di carpenteria per turisti sordomuti. Passeggio smistando doni pedestri.

La rosa in cartongesso soffre gli alamari ufficiali. Al parabrezza le foglie innervate mostrano le vette riarse. L'albero che invita il pop sul sentiero naturalista seccherà le mani profumando nitroglicerine. Mi pento di ogni difficoltà schierando fugaci fili che ammettono l'elettronica nell'aria. La parrucca lamelle argentee circola sulla tosse dei vinti, il vento ne acquista i resti. Liquide macchie secolari sulle verniciature di immobili esalano danaro per incuria nella notte frigida di paglia.

Tatuo il florilegio innaffiandolo di prole, medesimo occhio dove le cascate formeranno il pulviscolo. Sciacquette atomiche in tailleur, festeggiano l'acconciatura piramidale di massa rurale tagliandola alla julienne. Cumuli terracquei respirano impiegando sensi estranei per nuocere. Le dighe romboidali sorrette unicamente dalle api bicolori, eleggono areodinamiche imbottigliate di miracoli. L'aspide eretto mostra i denti alla ionosfera minacciando di bucarla come un pallone aereostatico.

Il mantello canino evira boccali di champagne, scodinzola l'intreccio della pezzuola in groppa.Tre quarti di un pezzo rap tampona il faro sulla rotonda. Il ponte visivo sorretto da un sentiero, naviga prospettando l'arcobaleno di carpenteria. Il piano ha la coda intirizzita, ondula il timone alla sconfitta: il tramonto viene scambiato per aurora. L'affluente del contagio supera la devastazione di milioni di alberi piantumati. Il motore si spegne sotto l'acquazzone, il corvo s'abbevera al rubinetto.

Catturo l'eternità stirandola con un nodo da antiquario. Passi vescovili rimasero in ombra sul coro del sagrato abbottonati ai quadri. Nel ranch chi s'inerpica scompare col danaro color ambra e topazi. Il fiume circuito dai gorghi illuse i guardiani dell'amore, battendo cassa. Nude nel serraglio enclave per uomini, giovani donne parlavano gravide di gioia. Gli accappatoi in scorza di limone delegittimarono gli abitanti dal corallo sovrappeso, ho nostalgia. Baciami con un flut, come quando ero ragazzo.

Ciò che non dici si evidenzia nel calcare illuminando il diapason lunare, su quattro mani il fruscio del mare. Conserverò in tasca il cratere esondato bagna piedi ginocchia santifica il volo pieno, sul tempo metallizza. Rispecchio la nuvolaglia tagliandola per metà, sazio di illusioni chiudo la finestra sull' anticipo. Trapasso un'oncia di grano al portalettere, la scabbia gli conviene. Chi indossa la panoplia in plastica, rilascia alla popolazione la propria deformazione su una gamba sola. In piedi garantisco.

Amici con pertinacia rendono gli utili predicando viltà al sottomarino di cherosene. L'aerografo è in sala macchine. Il vaso fiorito appassisce a mezz'asta dimenticando l'amore sul carro. Bottiglie legate allo spago, stappano vicissitudini di sughero varando appetiti sul buffet di celluloide. La demagogia di errori sulla cassapanca, soffia il caldo orientandolo sul ventre paglierino. Voil di piacere. Dormo con l'improntitudine di peluche abbracciato alle secchiate di numeri vinti, allucinogeni dipinti.

Rilascio oro incenso e mirra per ricordare il tragitto dei fiori che si suicidano in retrovisione. Il gatto in fiamme appassiona, balzando da una lapide all'altra sull'ilarità dei defunti, tranne i vivi. Conquisto troppi calendari al vento, respiro polline di volontà divina punto esatto della concretezza è l'illusione. Indosso monili ridicoli a sfere con Dio che mi premierà con la morte in dote. Vedo il cigolio dell'arte pettinata al quarzo sulla lirica di maggese ultimato. Il bidone pieno di vernice si rovescia. 

Son tutto ciò indipendentemente da me, 50 luridi centesimi saranno il mio umile salario, col tintinnio sul marmo bianco; al freddo glabro li raccolgo ponendoli nella tasca prima di andarmenne leggo il nome sull'epitaffio, riconosco il mio. Quello che uso tra gli uomini: Cocuma. Un paio di cappelli e sbarbo la cruna sul gospel. Mangio il gaspacio della trama del film che batte l'alluce dentro l'anello di Saturno. Afferro la firma di un trillo, tolgo l'amore per sempre all'imballaggio fluorescente.  

Ed entro nelle profondità con falsi nomi, cambio il cervello mai propizio al giorno per centellinare monete novizie. La sintassi e lo stile sulla via ferrata hanno la stella polare chiodo affisso in cielo da cui l'argento fuoriesce in uomini coraggiosi. Slaccio la moltitudine di computer cremandoli aspergerò le ceneri sulla stampante. Il boato continuo sono pagine mai lette che si susseguono. Di tutti i romanzi l'eternità è limitata all'uomo che indossa gli slip per il prossimo bagno al mare.

Ti riconosco per la figura altera con cui gesticoli il parcheggio agganciato a sfere. Il mimo estrae le stagioni aerospaziali apparecchiando nodi di cravatta nel piazzale. La piena di cunette asseragliate lasciano messaggi, prima di entrare in forno. Lazzi cadenzati visitano l'ipotesi di demolire il feudo.  Spingo il serbatoio fuori portata, la fossa libera al sole teschi dai bulbi d'oro. Il sentimento della tratta al pascolo è innevato di meraviglia. Percorro secolarmete i due confini con un abbraccio.

Parlerei di te autenticamente, susciti curiosità se le more a terra piene d'intensità scagliassero sensazioni di poesie eterne, orbito nella faziosità di un incontro inerte. Spengo le indagini controverse rammendando l'ombrellone estivo; scendo da un cunicolo. Seduto sulle labbra demaniali, catturerò parole che transitano, sino a quando intercetto la parola amore. Ti invierò anni di vita da godere. Il contratto non lo prevede, ma posso fare di testa mia. Amo la chiesa che stupisce.

Il  piagnisteo dell'eremo si ritorce a torso nudo, inducendo i ragni a salire gli specchi dell'indifferenza imbragati dai petali di geranio. La scossa elettrica di magnitudo cinque fece danzare il coro alle poltrone. E la vita nuda scorre spirale sull'arto amputato dell'albero; si schiudono le danze, con le mani si fermano le sottane. La lucertola con gli occhi azzurri distanzia i confini tra vita e tragedia; capovolge il fato a ritmi rapidi, sveltamente orienta l'invisibilità sotto il cancello.

Il mondo terracqueo non può imitare i colori che contiene, nemmeno l'oggetto supera l'uomo. Eppure, la parabola d'odio s'infrange sulla resina, trasparente nell'exodus di bamboline in plexiglas. La muta nel fiocco passa enumerando voci di lupi grigi. Annuncio all'interno corruscato il venditore di oboli a dozzine. Segna 5 dita di violenza dalla finestra mentre spicca nella pace il futuro con valigie piene.  Inforco la maledizione trattandola alla moda rendendola quieta con un saluto americano.

Incede la morte parafrasando i nodi andati. Sulla rupe rigogliosa gli amanti gemono nell'occhio, la ragazza tumultuosa suona l'arpa dell'ancella parcheggiata sulla panchina. Priva di ali non mantiene il calibro versando vino sullo zoccolo. Gli acini con sussiego galleggiano nel male sedando ciascuno un trono enfiato. La dizione è rara in superficie, in profondità le radici accumulano proseliti. A senso unico predicono la sola andata. La bestia impressiona attraverso le mani e il viso ludico.

Colmo il terno scioglie i denti sfiorando l'ugola ne rovescia il contenuto: intenti crudi sulla lingua del dirupo. L'altalena intermittente plana di trincea in trincea col paracadute a strategie lineari. Rifulge la mia anima ammiccando la trementina, la quale è sdegnata per le forme delle donne. La nudità lilla ha il proprio prezzo affisso all'uomo di Cromagnon, le voci che si rincorrono sino all'isola sono spiaggie. I rettili d'amore cercano l'ombra strisciando l'illusione per trasportare amore. S'illudono.

Una serie di pali interrati a fiamma libera; lo scoppio e la polvere di comete orbita sui venti siderali, il cubo si elettrizza. Un morso di eros alla coda frena la lucertola e il gioco abbia inizio. La logistica di non sapere finalmente amare o finalmente fuggire. Ci abbracciammo, la spogliai, la baciai battendo la lingua sull'incutine, nei gemiti ascoltavo l'eco del futuro prossimo. Noi irresistibili amanti orchestrai i movimenti, lei disse "non m'indurre in tentazione" le risposi "ti libero dal male".

Corro nudo mutando gli equilibri dell'odio. Dalle nubi sorveglio il tempo e il cielo all'unisono decolla sulla carreggiata bianca. Dalla polvere sollevata compare un ciuffo d'erba che spicca un salto come una grossa rana. L'airone sul greto del fiume apre le ali al sole come gli uomini aprono le mani al Padre Nostro per scaldarsi anima e cuore. E questa luce che mi finanzia proclamandomi la festività imminente, nella lacerazione di ogni debito che mi scavalca, placo l'idea di un giorno torrido.

I servi di notte imbottigliano lo scorrerere rimediando le istanze. Raggruppo costellazioni decifrando il bluette dall'antichità. Un colpo d'ala e l'auto sbrana il tuffo carpiato nell'acquitrino. La telefonata s'interrompe aggregandosi all'alveare. Sul greto del canale la vigna smuove la clessidra cromatica. Il tavolo a cassetto responsoriale filma i modi in cui vedere l'amore psichedelico. Sostituisco l'arroganza con la fierezza e non ci saranno piste di decollo per le mosche sul gomitolo.

Nemmeno presso il morire ebbi la fortuna di capire. Schiaffeggiai la coda colpendo la natica prestata dalle ruggini. Prevenni l'encomio liberando gli Dei dalle pesantezze della condizione marmorea. L'aria condizionata diede al rapace il tono esatto per strappare un brandello d'acqua sul tartufo dello Shnauzer. M'immergo nella tua visuale rovesciandoti il volto a capofitto. Catturo in lingua cinese la flemma sabauda; sferro una sciabolata nel sette e mezzo di Fellini. Mi ricordo di tutti i copricapi.

Sulle case la corolla muliebre rosicchiò gli ultimi giorni d'altura. Nel mare bianco lo yacht intravide la fine sullo sparo del decollo. L'elicottero degli ideali parlava l'argot sul registro linguistico perduto. Muoio nell'identità indefinita di chi spoglia e disadorno di vettovaglie ha mille luci; il compleanno vive fertilità e concussioni. Le donne islamiche ribaltano i cerchioni in lega dell'automobile stampata sui foulard. La mela cotogna tra gli abiti vintage forma il politico festante per gli emendamenti.

Morire fu difficile. Sedemmo a chiacchierare. Si scelsero le carte, due di noi senza remi bruciarono le propie ossa. Il vento bruciò accendendosi a folate e fulmini per noi, naufraghi fra le rocce. Ci seppellì una voragine oscura, che prendemmo sino al cuore della terra e più. Coprimmo a nuova vita e a testa in giù i volatili che di lì a poco si librarono in volo. Con l'occhio rigido guardavo il fiume, mentre sul palcoscenico, la maestra della corrente si estendeva sulle lande a perdita infarinate.

Ai margini della strada un tavolo con la tovaglia e un cocomero al centro disegnò l'illusione di una autostoppista degli anni 70. Lo scheletro di nichel mostrò un bruco rotto campeggiare sull'asta di una casa colonica. L'hangar a scacchiera bianco rosso indossò un cappello da pescatore pisello stinto. Il tuono rivestito di tutto punto sguainò i fulmini secchi che lucidavano le luci abbaglianti. Il ricciolo di lana sull'azzuro incartò il cielo con una virgola avvolta nella parrucca. E nell'immediato.

Piove e passo attraverso il sermone come i passeri orchestrano le virate. La rete di ghiaccio scende al centro dell'estate calando i pesci alla tonnara. Il rimprovero dell'odore di mezzanotte benedice i sensi. Il giorno vede aspirazioni scheletriche che abitano correnti, s'infrangono a cocci di melteni. D'impeto costruirò l'arca con l'ordito nell'aria celeste del sud del mondo. Il golpe è un ruscello del paradiso di Dante. Il sipario si leva e la donna alza la gonna mostrando le mutande di pizzo.

La ragazza ripida indossa l'effetto domino, un montanaro galleggia a scarpe sporche chiedendo il riscatto. In danaro, un bue a sangue blu, un maiale parlante, un pollo con licenza di pesca subacquea, quattro pinte: oro incenso e mirra. L'ultima vuota, non specificata la marca da imballo fabbricazione. Gli inquirenti deviarono largamente la guarnizione alla bisogna. L'anello al muro fu la porta per la galleria in chiave spezzata. L'acqua in bocca dei guerriglieri spronò le parole.

Il tormento avvenne sulla spilla di tre perle a gocce orali. Il discernimento fu la soluzione ipnotica conclusasi col carteggio di maggio, mese della Madonna, fiori a terra e in aria per il funerale degli zingari. Sacre le montagne divisero i tappi dei fusti di olio dismessi per cause ignote Ricolme per metà le menzogne resistettero ai detriti teatrali. La lirica con tanto di foto e ritagli d'immagini si piegò alla diffida chiudendo lo stagno. Le anatre si rifugiarono nell'antro di canne vicino al ragno.

La comicità dilaga sulla manica dei banchieri, il piazzale è una camera mortuaria per diletto. La formula dell'air bag è nei numeri che conservano la propria etica ritorti sotto la lanterna. Dedussi da tutto ciò, vi fosse un quadrifoglio sullo sfondo. Il quale cementato ad una donna di spirito, indossava il completo candido a digiuno. Sul comodino piccoli adulti sfoggiavanmo il kamasutra, nel momento esatto in cui dalla pensilina traspareva l'azzurro mare.Il miracolo di un parto è magia.

La menzogna galleggia sui corpi rendendo vana la bellezza. Ti cerco e non ti trovo; è la disdetta nella certezza che tutto morirà dolcemente. Eppure: sentirsi spacciati, allo stesso tempo illudersi di vivere. Nelle mani scure e rinsecchite la pelle è di troppo se raccontata dal sole in abbondanza. Indossai il pullover indicando a chi vedeva la mia saggezza la mia vecchiezza. Un nugolo di applausi bucati dal ricamo annunciarono il mattino sul pizzo di pioggerella di anime vive e sempre defunte.

Le proboscidi degli elefanti misurano carotaggi corrosivi stampando altro. Di fior di latte e finta pelle la star sotto pearcing eroga telai da centravanti marcati a zona. Il plenilunio in maschera trascina la copertura sul letto a sfera. Il numero dieci evoca fortuna. Il luogo comune è impermeabile al senso con un trattamento stone wash. Tafferugli in milioni di metri d'acqua, e i piedi sull'orecchino della luna firmano il sesto acuto al magnifico abaco richiesto dalla visita del corpus antico.

Tuttavia abbracciai l'ombelico e iscrissi nel quadrato l'amato lilla. Vi volarono piccioni e colombe con un rametto di rosmarino e salvia tra i denti dello squalo. Gonfiai gli sherpa a due impressioni, la tramontana eclissò le cespole, i sandali li portai legati al collo in funzione escatologica pensando alla modestia scaturita dall'esempio. Sul distintivo di linoleum lo scirocco in un rintocco affievolì il bacio stretto al labbro chiuso con la zip. In canottiera nera il rimorchio pieno di grandine si capovolse.

L'uccello impagliato deborda l'alluce mesce la riga urlando piacere. La luna lenticolare si auto celebra cantando piena di interessi Maschere miscredenti odono la terra dalle scarpe sporche. Si fotografa la disdetta immacolata, nei ponti la griffe ama la stampa. Attraverso la voce la novità ha le praterie verticali. Diretta comele uova di storione, la profondità suona la cornucopia per i derelitti. Cuciono le uova arrostendo di felicità. La piuma è retta dalla panoplia rosa: un palcoscenico di folle.

La sindrome del presidente miete Repubbliche da chicchi di ghiaccio isoscele. Color scaleno quando l'aurora ha moltitudine di pensieri convogliati in uno. Dipinti di prima mano ebbero il piatto in affitto da libellule entrando in banca, seminarono rivoluzioni per talea e franchi svizzeri. Fiori rugginosi calibrarono l'uguaglianza nutrendo distinzioni tra mannequin l'ascensione programmata a turbo elica. Nell'intingolo dorato o porcellana i crani non abbaiano non preoccupano. Non uccido nè ora nè mai.

Diminuita di vocalizzi deprezzo l'inconveniente canoro graffiando l'astro, dimena la cassa accordando la buca. Il labirinto fumetto di prima fila partorisce l'ultimo tunnel al cinema sotterraneo, resuscitando lacrime raffreddate nel manicotto inox di cinque millimetri. Cospargo l'imo su tratte dei ciclopi. A tre remi di lega la canoa sale la corrente. Il tramonto aerografato nicchia sulla fiancata surriscalda i piedi. Spunta un faro di chiodi e bulloni preziosi e rorolano sotto le suole. La ricchezza.

L'avvio onomatopeico fu l'haiku al treno marittimo in secca. Fiori al soffitto masticarono torte acerbe. Verniciare gli ingredienti trancia l'orchidea sacrale. L'epoca di umanesimo conquista la cilindrata a quattro corsie di pubblicità. L'elasticità lucida per i lavoratori in corso l'opera che galleggia sulle t-shirt mostra l'adagio tatuato. Seminare zizzania concettuale ingabbia il microfono ai non vedenti vietati al sorgere dell'alba. Raggiungo il letto e le donne si assomigliano tutte al suolo.

Il glande munifica attenzioni sfoderando il revolver alla Dea che respira attenzioni per il Drago. Una cascata di fili e la paglia sul volto stirato after shave, fa capolino tra i coppi ramati. Sotto il sepolcro della stagione inverno primavera senza dubbio i giornali non nè parlano di rotori ingialliti. Il semiassi della balistica del proiettile ha la diagonale sullo scrittoio circonvesso. Frantumarsi aggregandosi alla tangenziale, potenzia la bretella a pel di carota copulando consigli frettolosi, nel cuore del rasato.

Grassa di mole la guglia sul triangolo ha l'addome celestiale di un animale antiquato. Al guizaglio il cesto forato prevede distanze a quattro ore d'orecchie comuni. Prevalentemente nell'andatura i panni sporchi ordinano al senno il seno a pochi passi dall'ombelico con pregevoli stature sul davanzale del monte di Venere. In contumacia vibra infiammato di circospezione. Nella daga recrimina la paternità coricandosi sul sedile reclinabile. La botte aumenta le capacità sfiorando intuizioni sul plastico.

Il confine rivela il buongiorno. Se mi detesti raggiungimi e la misera malaria seguirà un'altra epopea.
Il merlo nero sullo sfondo non si occupa del taglio dell'erba verde, punta l'idrante. La scolpitura liscia sul grano d'ammoniaca nell'anfiteatro assiste all'impiccagione di gioielli tintinnanti. L'appartamento dirimpetto del mio I-Phone slaccia l'ostrica dal proprio eco di retromarcia. L'allarme allungato sino al citofono riarma il tempo di presenza. Le delizie una volta nude srotolano a terra come nature morte.

Il fuggi fuggi generale calmò la virtù dei sordi in diretta. La pezza di pubblicità a uovo per l'occhiello fu il compenso del commercio all'alba. Il foglio di registrazione iniziò il flusso alla fine. L'ira funesta fabbricò sette camicie sull'ipotenusa, il vetro sul colletto rifletteva i tormenti. Il cielo grattò di giallo i balconi dei Balcani. La marca di calcestruzzo, l'ideale per edificare il mezzo busto. Mirai il nudo in corso d'aria. Il braccio dell'ora sniffò il sonno sul geroglifico a tratto unico, in stereofonia.

In questa acconciatura di serpi e anfibi la parrucchiera ringraziò l'intera spiaggia. Seduta al sole la brezza salmastra invitò il basculare della terrazza al vento. Umida e ondulata sotto la nube di metallo la sfinge spinse la laringe ridente. Il gelato viola consumò le tomaie legnose per l'avvento dei funghi, le mimose sguainarono sabbie in ferro. Foglie artificiali ottennero il passaporto e la licenza per armi da fuoco, i cocci per alluci e talloni. Il sangue al plurale assorbì i granelli di petrolio.

Le affinità elettive navigarono sul fiocco. In alto mare svetta la posidonia blu. La Dea delle acque bevve il mare floscio annodandolo e planando dalla cima. Non fiori ma opere naturali dalle farfalle di quattro colori. Scompare la tanica di fiori, bulloni e rondelle sono diamanti a dita culinarie. Tute di marinai al collo svuotarono la bottiglia d'ironia. Priva di velieri, un messaggio dal regno dei morti: è presente per chi muore, futuro per chi vive. Annoto il miracolo del sè scarabocchiando l'esodo. 

Irraggiato tacerò come mi insegnasti nell'odore prevalente: ti troverò. La stupefacenza dei tramonti non avviene. Fenicotteri addolorati di pietà cacciata sorvegliano il territorio assolato. Il sole mantiene la sua chiazza stolida nell'universo luogo ideale per vivere e morire. Il cormorano sfiora gli astri di volta in volta infilando monetine per bibite ristoratrici. L'orbita marina è limpidezza Greca nei miei occhi quando ti scorgo. M'innamoro di te tra la fanghiglia di catene adorate. Ti sottolineo.

Accoglimi tra le braccia, l'aurore mantiene i neri. Nel quartiere l'àtelièr sull'erba si trasformerà in arco e frecce. Il filosofo versa tavoli di cicatrici a legni immensi ed epocali. Il controllo della ragione dà tre morsi temporali; scogli di calcagno e dita ritorte s'intrecciano. Il tantra ha frangette affamate, libera cori Provenzali dall'eternità individuale. Compare il cuore avvolto di petali gialli. Mi svesto per l'abbronzatura cristiana.  Come in ogni città la fraternità subirà alte e basse maree della vita.

Il conto rovesciato diede due cani alla mensilità raccolta. Quindicesima a radici perdenti e fiati sulla battigia a bottiglie. La vita dissolse la franchigia e la lampada ad olio accese qualche pettirosso sulla manica. Sigilli millenari a prima istanza ricoprìrono l'anima rosa, evasa dall'isola bussò a piene mani sulle fragilità endemiche. La rana gracchiò ribollita il mistral su note incartate. Vi fu il sole a gorgiera e la notte incipiente stese all'aria pagine aperte del Corano. La pace sia con voi.

Dalla carlinga il sogno spiovve alla stella confidente. A grandi passi continua ad avere calcoli irreali, divenendo pilota dello scrigno funzionante. Per l'avvenire la costa rada sulla base s'allunga litoranea nei capelli. L'effige confinante ha l'aquila che ride, il capo a destra rimira l'ala sinistrata osservando i regni uniti. La cartina torna bruciata spiuma stazionando in scia eretta, affamata s'invola oltremare. La sinfonia notturna è resina stilizzata. Stillicidio nella diretta della pianura arsa.

La festa dialoga scarafaggi color smeraldo recitando musiche orientali. Freccie a due punte arrestano avvocati in file diurne prepagate. Con la faretra ogni profezia mesce pere vuote. Scendono le lenzuola dall'albero annodando l'aerodinamica funesta. Il campanile bronzeo è la fortezza, cinge a sè i profumi del cratere. Il fiore mostrando pupille al merlo versa diesel all'appuntamento del pantografo. L'andata e il ritorno ha ragazze col sorriso sul tallone trasparente. Il tatuaggio del tronco è la vita. 

Trattenere volti conservandoli sorridenti in tasche vuote. Il ruglio edifica il nefasto, il verbo inumato ha desertiche relazioni. Frusto la ressurrezione mostrandola irrinunciabile perseverante: nel desiderio percepisco. L'entità che travolge su sentieri dell'imo antico, rotola. Cammino candidamente ingenuo. Evoco il sentire millenario vedendo Satana chiuso dalla fede. La tua voce è riconoscibile e nonostante tanto errare vira nel sublime. Il tono dell'amore deborda celato di profondo.

Non è mai troppo il tono nel sonno della vergogna. Gli inesorabili vincoli si appropriano della rigidità del reale condannando la garrota. La tortura mai si evolve e mai si evolverà se tra i panni un lezzo circonda l'eleganza dei defunti. Eppure l'alchimia è l'aura degli astri: converge luminosamente vivida tra morti e corrotti. La provvidenza assolve. Non lo ammetteresti, tranne alla solitudine, che il tempo annichilisce e la pietà invade come una marea la mente. Scorgi così da lontano la modestia.

Abbraccio l'odore che indulge sarebbe un ricordo passato di desideri lontani. Le orme raffreddano la schiuma se con la lingua dei pazzi raccoglie conchiglie sui monti, all'orecchio sono verità nascoste. Il rifornimento della musica creola è contro il tempo, l'esplosione di luce è fragore intenso, la verdura dal suo maniero lacera i torrioni. L'avvistamento di avvoltoi calza nylon per cavalli di terza categoria riscossa. Cade la vigna nell'acqua marcia, freme la comparsa. Cercare frescura in chiesa è seccante.

Dal molare sporge il caco, il pavone bianco è discriminato tra le siepi anonime. Da una macchia sul selciato le fughe percorrono tutto il dito radenti il golfo. Osservata da una coltre circolare l'anello ha la chierica sul capo di Saturno. A metà via dalla fenditura il pesce sgocciola sul ventaglio. Sulla ghisa pullula il mucchio giallo guaiendo in mille fasi. Quando esplodo rivivo il volo. La coperta col ricamo copre i piedi rinsecchiti e conservati per la merenda sul canovaccio jeans stinto fino.   

Dormono piegati. Nessuno entra. Il cartello a secchiate non si cavalca. Intirizzito restringo il covo di perdenti alla base dell'occhio clinico. Col sottoscala in testa tronco le molle della collina. Penetra il fumo suadente assottigliato dalle fessure. Ectoplasma a qualsiasi ora. Tra le maglie ottagonali il ferro arrugginito chiede la pietà. Il risparmio è da premere per il funzionamento. Conficcato al volo il cranio del marinaio trascina legando gambe olografiche. Sulla fronte carteggio l'arenile vuoto.

Il tempo stacca la spugna dorata. Dalla battigia le nudità dell'eremo valutano il promontorio scosceso. Le palme edificate s'aventano col vento sui flutti sillabici. Le piogge nel drink rinfrescano l'amaro ritorno dell'amore. La cera in volto straripa sui piatti, i gesti dei corpi alzano il velo stampato. Nessun rumore molesto dal padiglione musicale. Sopra le righe il mimo vibra il collant sulle cosce. La nudità è il futuro del libro se sfoglia le incongruenze. La prospettiva è tra carovana e muflone.

S'irraggia la prateria d'orgoglio e salto nel ruscello. La verticale tuona sulla frusta di budella, lo schizzo ha folle plaudenti di martirio. Il motore se trova l'uscita, è merito della notte che viola il visto. Slaccio l'anziano dagli occhi di vela, fumo vedendo l'aquila enorme con l'ala screziata. L'angelo con cui gioco alle carte disdegna fiordi sull'annuario irreale. Mi alzo al mattino col sorriso se vinco le partite. Gli angeli ridono con me per la mia sorte. Eroica ed inimmaginabile quando salvo la vita.

Con ciò confermo l'evento: rotola sul ramo il tentativo gravitazionale resistente. Traspare nel defluire d'immortalità celesti e corteccie tronfie. Lo stile dichiara fuori contesto l'aria mensilmente dichiarata. Al mondo l'albero giace benedizioni che le radici sappiano e conoscano la perfezione che le abbraccia al buio, spezza l'egemonia di stelle sul mare, della Luna sulle maree, del Sole sul giorno, l'intonazione del vento. Le stille a terra a breve saranno doni con coperchio e muschio.

Manifesto sedato rumori ghiacciati. Ricopro di fiori la palla sgusciante immani glorie. Circospetto nei timori, sui monti la ruggine la sento reggere di spalle i sentieri. Sovrapposto al riverbero giaccio sul fiume pensando ad un filo di grancassa tra i denti. Attendo lo stilema lieve del fiore nel bacio mobile eterno. La fredda letizia custodisce il clima impera col fieno dirige la sponda. Sbuccio il malcostume
svuotandolo di quesiti, ricamo l'orlo dello sfondo col mirtillo. Vedersi schiavi sull'inciso di un ipotesi.

Il telefono squillò periferie secolari. L'autore trasecolò denso di meticci confermando l'orario degli arrivi. L'intrigo di tracce in avanscoperta gonfiò la compulsività dentro l'egida fiacchezza. Snaturai il delitto confondendolo con un perno avvolto di mercurio. Con freddezza arrotolai le banconote nel buco nero. Tra il letto e la città le persiane replicarono un tocco orizzontale prima della rotta. Una bibita un caffè, il trucco, le dita intelligenti, le unghie con lo smalto dissero che era amore.

La preda nell'acqua respirò le polveri rosa, l'icona spiccò il volo ricomparve sui muri tra vasi di fiori bianchi. Il milite ignoto rimpicciolì il vento sulla canna del fucile, strofinò la pelle per disperdere calore. Alla finestra i moti di sudore timbrarono l'inchiostro, per poi lasciarlo scorrere verso l'odio. Garantisco l'epiteto della fibra, ringiovanisce la cintura acomodandosi sul divano; si addormenta di sana pianta col fiore bruno tra i capelli color del grano basso. La battaglia ha inizio.

Tutto questo mi indigna, mi rincuora, la chiave celibe è pressata sulla ghiaia. Intercede sulla nobiltà nell'impossibilità di salvare il mondo per convenienza. E non tradisce il campo di girasoli: a luglio la bellezza spaventa e inorgoglisce, chi è giovane ci guarda. Costui ha un demone nel cuore che gli versa la fede nelle vene, uno nel cervello che gli spella i fili connettivi tra i neuroni, e uno sulla lingua che sceglie il tono, il garbo, le parole da proferire per il cielo. Ed è feroce la mangusta con il cobra.

Non desidero che questo: una ferita antesignana sulla carrozzeria. Pistoni appesi all'aurora la macchia blesa sul muro intellettuale. Il grumo di lenticchie aspirate con grazia, dalla mia entità sguscia fuori la via proseguendo nell'aldilà la recita di Ezechiele 25:17. Qui annego gli onesti, slaccio i colori dal loro impegno. Tramonto acerbo che deflagra, la rana è sottosopra con nature torbide e anchilosate per miglia e miglia, mi disseto aprendo il frigo. I rumor non fan spavento.

Nessuno di noi l'avrebbe preventivato, incollato alla roccia grumo di uova di storione, che i gorgheggi provenienti da siepi sognavano uccelli in volo. Caricai le scarpe di montagna nello zaino v'introdussi il tartufo del mio cane preferito, gli occhi della poiana, sgusciai notturno dileguandomi sulla schiena degli astri. La macchia a costo zero s'intrufolò sulle ali di uno stromo picchiandomi la pelle. Il fabbro in circostanze variopinte chiuse nella cassa -fragile - gli eucalipti psichedelici. Divisi le speranze.

Bordure di sentieri infuocati rodevano i quarzi, zigrinati da molteplici ratti edificati monili. Celavano carte nell'intingolo di popolazioni discorrendo per le bacche. Dai rami scoscesi i massi folgorati dalla forza, s'ingegnarono a ciuffi d'erba attraverso il mirino. Raggi noiosi camuffarono l'odore frizzante, il ragno uscì dalla grotta col cabaret d'acqua turchese sotto il ventre; avvolgendosi serpe si contorceva al dito per anello. Le nubi piumate ombra al suolo a palmo aperto tagliavano  l'atelier del mattino.

Reduce da una lince in bocca, il sacco di lune rifornì i cori angelici, sciabordii di pleniluni immondi.  Illuminando la sartoria digitale di radure e scogli il millepiedi perse le scarpe. Si rivestì con la livrea glamour di pasticche. L'autobotte a coda di pavone, per il vezzo degli orizzonti, piano costruì tornanti chilometrici nell'acqua di bitume. La retta fronte è staticità numerica, raschio di sottofondo. Paralleli alla strada i cortili mixarono le favole chimiche fumando chill out music. Mi abbronzo.

In controluce l'area rovescia l'elica frulla di vegetazione accesa. Il lumino da necrologio disumano è orientale. La pubblicità nell'intenso traffico teme la storicità dell'anulare nel cesto fuori commercio. Il gasolio primitivo sala lo stagno giapponese. Il dittongo sfilò i fuseaux dalle gambe dell'imbuto snello. Al mercato periferico la quartina favorì la rubrica di sconosciuti amanti della notte afosa. Al margine della coscienza consumarono il tintinnio di manette e origami. Si può parlare d'impatto geologico.

La figura extra vergine giunge col sacco di guai nello stucco generale. Senza zucchero il capostazione raccoglie conservando il muschio tropicale nel ripostiglio. Al semaforo rapido come un gallo segna il vento. La lagrima di pioggia inebria i sensi presi d'assalto dal coleottero volante. Il viso dell'ombelico ha 42 pollici abbracciati a gonne in quota. L'asfalto regge e continua il confine nero della navigazione a vista. Il terriccio minusculo su cui il drago resetta le corna decolla nei suoni concatenati di priorità.

Per impollinare geometrie divine ottenni la costituzione. I tre magi femminili sulla spalla della scala allungarono le bretelle capitozzando l'elastico dell'osso buco. L'obolo d'incenso rotolò al cospetto di fuochi artificiali. Sull'arenile la gradualità del collare ai gemelli, punse i diamanti incastonati. Lo zabaione colore amato dagli architetti annegò il piede in contumacia. Sottocosto nella valle appiccò la faretra al palo. Al crocicchio di primavera dopo il rosso si spense come una nebula erosa.

Il vulcano ha l'aureola con le ali del tucano cromato dal chierichetto di paese. Il semaforo trinitario crebbe nel numero decimale. I funghi lo attaccarono a metà del percorso di risalita urbana. Trascina il sacerdote la slitta di petali legnosi, al centro sfioriscono nell'emersione di profumi. La resistenza si accende di calore sul laccio emostatico. Il vuoto su colonne professionali sollecita la reticenza del potere. La torta accende il talamo di avanzi. Dopo la rapina il canto si rifugia sulla cometa di Halley.

Se l'enclave si presentasse con la consapevolezza di sè scaricherebbe il proprio carico nefasto. Mi aggiro nel letto rotolando su incubi altrui. L'inedito volatile stradale anima distogliendo il vissuto con lo spoglio delle schede. Entra in opera cantando il trasporto del bacile col vermout. Attecchisco sull'albero, il camaleonte s'incatena. Colpito dal libero arbitrio gli infrarossi a migliaia esternano i loro giudizi sulla rasatura a freddo; l'uovo dal coltello d'oro il tuorlo l'ha imbalsamato alla deriva.

A ridosso del pallore musicale, l'odissea plenaria ordinò la crema in creta. Col peso delle liliacee si ode il cranio svuotato allaccia il polso collinare. L'acacia nell'angolo putrida nello smeriglio d'acqua ruscellante traccia la bilama acustica flettendo l'onirico scende dal salice. Il flipper con i ricordi flirta e le membrane le secca al sole. Gli schiaffi multipli dell'aria svaniscono sul comodino pesto. La pietra sfrontata dalle intemperie giace sull'impero depilato. Ammanettato accelero in tempi concreti.

Cerco santità e rivoluzione perdendone il senso. Nidi goccianti rafreddano il vento. Donne disadorne racalcitrano uomini. Non c'è virtù nella disuguaglianza. Imbianco e diffondo il paiolo che rompe. L'incesto ha luci da bagno maria, la cicala trasporta sulle spalle il ragno. Sul dorso d'acciaio il nichel irrompe moneta di addio, bascula nelle retrovie marciando appomatato. La falsità in tinta disunita sul pollame trivella le zampe in concomitanza con l'arpa. Il vento batte trapassando la rete dorata.

Rose appannate asciugano il calcare del pianto. Il piatto risorge, lo schiaffo è nebulizzato sul piatto. Cade il carteggio a energia insabbiata di ghiaia. La filigrana sul molo lega i nodi sfiatando amaranto. La punizione ha macerie e macchie stese. Il tramonto di pelo non vola. L'alluce imprime lo sdegno fragoroso per la cattura della cataratta d'incenso. La palma in alto rilievo è l'occhio che ripone l'ala sotto la mascella. L'alba elettronica irrompe nell'umiltà dei bulbi storicamente vecchi e salati.

Se poi aggiungessi al quadro disposizioni disdicevoli, le braccia per errore le regalerei al parlamento chiuso nella soffitta. Dove abita il comico palestrato: glutei ghiacciati a forma di zenit. A bocca piena incedo sullo scoppio simultaneo. La groviera di selciato sarebbe un ammasso di lavandaie e sangria rovesciata. Donne col foulard, nudità per chiunque stanno sulle panchine, altre col copricapo mobile e pensile lancerebbero sui rami la vegetazione posticcia. Nel cinturone il topazio è pieno.

Il piatto guarnito dal vulcano ha ricordi che sorreggono i bossoli d'oro nella tasca. Con me l'aureola da biasimare quando tutto fu inutile sin dall'inizio, il tram divise a tema la fine sul cornicione. E' un pensiero finto; ali da gioco svaporano nei cortili: bambini sudati e pelli di madri in centro. L'opificio incipiente su tutta l'area, è l'altare dell'artificio. In linea tettonica sviene sotterranea. Il geroglifico color quattrini  è su busta chiusa per il destinatario inviata dal nome dei committenti.

Sulle eclettiche lingue dimorano le fiamme remote. Le ossa, i veli sull'acqua squarciano i rovesci nel ritmo. Frantumo la domanda mal riposta, in riga con i pensieri il pigolare quotidiano rimase in linea col telefono. Tramonto e mare imprigionano la perfezione. S'increspa il torrente dal pendio aggiusta il proprio volo in unità di gioia. La preghiera a mani giunte mormora quieta. Levigan le nocche umide di roccia e maschio il terrazzo rimane in ombra. L'ansia si acquieta nel flusso di fronde.

Pupille di estro e nuvole irsute mantengono la formazione nel boomerang. L'ansa dei primordi sfiora il larice l'affresco galleggia di blu. Schiere di nutrici segnano al proprio corpo l'argento che brilla di vita. Le armi in pugno mirano a dove declina il sole. Il sodalizio più morto che vegeto ombreggia nel tacco di ferro. Esalto il mappamondo con uno spillo esplode di rabbia. La scapola di legno applaude. Tu mimi un uccello in volo e l'accento è lungo, il pulviscolo rosa. Ti amo perchè sei di pietra.

Potresti realizzare i contenuti esaminati nel millimetro dell'angoscia. Il triangolo di fuoco ha l'innesco della miccia a tre sagome. Soffoco la polvere di fattori. Il primo vento congestiona: tramuta l'ombra gelida. Il caldo fornicava impetuoso a mezzavia raso terra. Il giubbotto gonfio di elettricità ritoccò la controcultura convertendo gli albatros. La pozzanghera di calzoni rivela gli stivali al coccodrillo. Il lavoro limita le curve di sei assi per ciascuna mano. Lima l'alba il turbo diesel con la moneta forata.

La vicinanza del corpo non arrise alla cerva, la volatilità rese il filo d'angora ferroso. Le pinne tatuate d'arcobaleno distrassero la lettura dei convogli a caratteri sul muso. L'acqua traspare consegnando i giudizi mistici. L'ordine previene sonnecchiando nell'andirivieni legato al collare di rugiada l'afa. La vicinanza degli uccelli individua i pasti col volo, trema la casta sciogliendosi al decollo. Non riesco a leggere al sole, l'alluce valgo osserva il ciondolo nero propugnare il genere hippy dal vinile.

Nel cortile di casa la donna gettò l'espressione a luna magra. Non vi è cuore che si possa dire superbo. Il lume sfiorò l'egemonia riscaldando l'ego al tramonto. Morì tra le ciglia il pensiero, rimisi al centro della piazza il busto di bronzo. Il sigaro corresse i nomi, dipinse capelli rosso Tiziano, la corteccia d'ombra incartata spense l'effluvio di sudore. Il tronco secco legiferò le mani tolte dallo sghiribizzo. Al vertice della calotta, i ventri alambiccavano tra loro senza nessuna remora.

Più che altro il vento, vettore lucente che increspa le ciglia mensili rivoluzionarie. Ruvida la panacea si depura depositando la fondina col revolver di amianto. Tutto ciò avviene nell'asse decapitato dalla bonaccia. Silenzio di rugli lontani. L'animale egemone si lava le penne argentate. L'eco massaggia l'esistere sulla rupe. Lo strapiombo è incandescente sull'anima Christi. La memoria sale e scende da scale mobili della metropolitana. I canali sotterranei della città danno i brividi di umidità.

Accorgersi della frequenza in cui si vive non è altro che una forma di grazia. Trabocca nei disegni la schiena degli schiavi fiorendo a planimetria d'oleodotto senza unguento. Mi staglio sull'unità del cielo e sui piovaschi non muovo nessun dito eccetto il medio per il matrimonio. Alla superficialità mi rendo triste, alle profondità sono incline con un bacio tra innamorati. Orfano dei media attraverso i panni asciutti visitando la città sullo scooter.  Tutto è spento nel colorarsi.

Nulla passa inosservato alla vetta del tempio. Nè il viaggio nè la meta. Le alghe incotonate riflettono l'elica che toglie dall'altare l'acqua. Il sole spinge la propria mano a modeste latitudini. M'impiglio col gramofono sulla via della seta, flussi scultorei mimano le proprie virtù. Tra le fronde l'insetto indaga il creato che lo sostiene. L'anfiteatro sotto le stelle recita il respiro di un calvo sulla ringhiera battuta a ferro di cavallo. Il tormento del ghibli in galleria muove il timpano tirato all'avarizia.

Di soppiatto il patrimonio di nuvole rapì la vastità della giornata nel fogliame che sgocciolava sulla morbidezza del calore. La pronuncia del commiato si fermò nel transito soggiogato dal treno al primo binario. I vagoni consecutivi al filo d'acciaio videro l'urto pregare l'energia solubile. Dammi una ragione che sia rintracciabile. L'invidia è consustanziale al capitale,  fuori vi è l'accumolo di princìpi  filosoficamente inerti. Ininterrottamente nella qualità che non si rinnova, ci lascerà morire.

La dimora posò il copricapo seriale torturando i cocci all'apertura. La voce flebile instaurò al cuore la propria dittatura dividendo rose profumate. Non trovai la mia laicità e nemmeno la cintura di castità. Un rivolo e nessuno perenne si permise d'intrattenere la squisitezza dell'idiozia. Murando nell'incenso l'intimità volgarizzata dal gesto eloquente, non desideravo sapere nè della foce tantomeno il delta che ostinatamente organizzava il principio, nuovamente. L'incipit è creato.

Dispiega le ali la modestia dell'innovazione che non affligge. Gioire camuffa la fantasia del morbo presso la pasticca del diabete. Rincuora i cortigiani che assistono alla manifestazione di genialità. La stesura attraversa la nobiltà di rango percepita, onore esserti nemico per la pelle. La cassa moruaria è lo stile. L'ideologia è nell'apoteosi dei seni. La nenia sottoposta alla dicitura interviene al florilegio rock. Testimone di flussi iperborei il cappello manomesso incede divelto dal vento posteriore.

L'avvio onomatopeico risarcì l'haiku. Sul retrotreno del mare in secca, i fiori verniciati lambirono il soffitto. Piovve sul controllo della ragione, tre morsi alla mela e dal tempo fiorirono scogli e calcagni. Incrocio le dita. Masticano torte di pere a tavolino, gli ingredienti furono toccati dalla sacra orchidea. Il tantra deforme sposta la frangetta dei commensali. La macchia di fumo libera sulla rampa di scale, si stende per l'eternità su lenzuola annodate. Gli occhi blu si slacciano dall'anziano.

I fiori compaiono sui termosifoni. I davanzali di fraternità subiscono alti e bassi. Dalle maree di ogni città affogano i ratti. La borsa che ciondola, intravede sfide maniacali, il conto alla rovescia terminerà sulla costa. Le sabbie prese d'assalto dal ghibli mietono cani a perdifiato. La lingua l'unica bandiera sventola dissolta dalla franchigia, fiori accesi il sigillo millenario. L'anima priva di primule rosse detiene la suola bussando la fragilità di primavera. Il tatuaggio semina zizzania nella lampada.

Tra la fila di mari in assetto di cielo, l'albero rinsecchito a tergo. Spoglio la bambola di cristallo per darle l'occasione di bere le solitudini. La prua dorata laggiù impiega mille onde per circoscrivere la roccia del golfo. Spingo linee di cocaina sino al margine, le piego e le rimetto in cassaforte. Conosco i volti che non ti accusano, li conservo per la tua audacia. Nell'esorcismo edifico il nefasto, la cascata copiosa e virulenta nasconde la propria potenzialità. Mostro il nerbo che scende rovesciato.

I piedi alla moda li bagno pregando conquisterò il rispetto. Misuro le distanze dall'ultimo universo la prosa non conviene. Convinco gli occhi ad un palpito solare di nervi solidali; il vetro frantumato galleggia scollato dai propri intenti. L'insetto ingiallito compie il giro della morte sul quadrante. L'orologio punge ammiccando i secondi con la lancetta. Nomade non mi fermerà nessuno e la patria la raggiungerò da centrometrista a dispetto del destino truffa che mi vuole stanziale.

Eppure l'alchimia degli astri è l'aura che non converge luminosamente viva. Lo screzio s'increspa sul paralume togliendo l'ansia. All'evidenza del tempo la vetta compie la pietà annichilita asciungandosi la fronte. Nel regno del plausibile la declinazione del ridotto. Abbracciandomi all'odore mi arrampico seppellendo deserti di relazioni. Imbastirò la mia felicità proclamando l'unione. Conosco i volti che non ti amano, li conservo in tasca celandoli si dissolveranno in un esorcismo di amore.

La voce esente da risacche travolge il sublime immortalandolo in statue. Pone il desiderio sulla linea di consistenza la pubblicità che risorge su corsie eclettiche, l'adagio semina zizzania. Mostro la t-shirt sul paraurti. Qualcuno al microfono sfodera il revolver impedendo che l'alba raggiunga il riposo. La donna si assomiglia mentre si pettina. La Dea che mi respira sulla spalla mi invita a tavolino per gustare il bere dalla vendemmia. Posso rifiutare il colore dei suoi occhi ? 

Consegno le mani al cuore, la cornice spreme le tremule gocce del calcare sul vespro. Il sentiero di ferro e agata regge il muschio. La porta è responsabile della salita. Nel bistròt l'utenza sbircia le carte e la compagnia mesce applausi. La figura ovale esercita mestizia alza la finestra di 3/4. Il cortile della palestra firma l'agonia sul ricco gonfalone. Le spore del fucile investono le onde. Macchie di cenere di vulcano rendono omaggio al tempo, altre volano come pipistrelli rifugiandosi sulle tende.

Non so e non me ne vergogno. Per amore all'interno della negazione vi è l'antonomasia. Sulla collina vado spesso di fretta origliando l'anima altrui. M'ingabbio e mi soffermo poi mi stupisco. Annoiato come un aristocratico, con flemma irrisoria, mi agito nella modestia. Dammi la colpa che non mi tange. Mi affrettai col passo di ladro, rivolsi le coperte patch - work. Il vento per chilometri trasporta suoni taglienti. Ricopro la buca con punte d'acqua e cemento servendo lordura a docce tiepide.

Chissà se mi mancherebbe il rifugio dei pensieri. Arricchirei l'avvitamento con filtri solari partendo col primo volo. Lascio il mondo di sasso. Il treno offre protezioni inimmaginabili. Le proteine di raggi lunari legati a quelli solari, danno agenti esterni impomatati. L'atmosfera dello studio al collo pende blu lapislazulo attaccato al filo nero. Se vesti i capelli di iodio qualcuno si alzerà e berrà presso le cantine essicate al freddo. La guaina è protetta dal decollo senza appesantire la formazione.

Le doppie punte ristrutturano la campana in vetro attraverso cui non si vede tutto. Dal cappello alle profondità della faglia. I tacchi a spillo dell'onda reggono la scintilla del sidecar rosso che sfreccia. Sulle unghie di smalto il geroglifico richiama il tenore dal centro e lo spartito arde sul leggio. A terra
i quadri in camera hanno tele separate dal vizio del fumo. Sparo la linea di confine con lo spry aleatorio. Il regalo personalizza la polizza con tizzoni in pizzeria da asporto. Il ristoro è sul calesse.

Ci attestammo sul lato della via, contemplai le nubi e il volo del grifone. Le parrucche platino delle mannequin s'infiammarono. Sulla scala volsi lo sguardo altrove per dignità, dopo il litigio. Trattai la noia inchiodando gli zoccoli dell'asino al ruscello. Sulla manica scorreva la funivia inamidata, due gemelli la univano. Registrai la pendenza della memoria acquistando un drink, sorseggiandolo sulla terrazza. Estrassi la fibia, posi l'accendino. Attesi che mia moglie si rivestisse di organza d'orata.

Guardo la volta che spruzza spirali di spuma sui mostri che amo. Cavalco la pavoncella senza che tu mi dica il luogo che devo mirare. La macchia sul becco ha la traccia digitale tra le piume. Non posso nascondermi tra i canneti o tra le rocce. Chi candidamente esulta tra i plaudenti ha il vento che lo sorveglia con tracce selvatiche sul polso. Poichè soffro la logica sotto le suole ho un cip che inaugura la meta. L'inesorabilità dell'umiltà si concretizzerà in mitra. Sparare e uccidere la missione.

 Affitto il dono attraverso l'oceano pacifico. Il fratello ripiegato nel baule affetta il piombo con l'astio.
Sulla duna la sabbia eccelsa è avvolta a scuse colombiane. L'eroe miete il frumento celeste, in piazza la bocca ha la ramazza. Frigna il deserto sull'improbabilità delle voci. L'infausto allo specchio predica
l'incombusto martire di mezzo. Chi abita il collo nutre la parabola. L'aurora extra large mantiene la bandiera sulla ragiada. Diana caccia dall'atelièr di quartiere il cinese con la ramazza cangiante.

Esco dalla Gare du Lyon. I calzoni rossi a stampe bianche sulla scalinata prediligono la pioggia sugli ombrelli. Le orme lenticolari ingentiliscono i fori della moneta. La complessità si riduce sulla cravatta se la cascata invita il padiglione di astri alla preghiera. Il cosmo sfiorato dalle betulle incita il salmo naturale alla corda d'incenso. Il corvo ha la mistica proverbiale impazzita sulla ghirlanda al buio. Per la lettura di ogni testo un alambicco screziato che disegni al muro il tempo etero illegale.

L'estinzione beve santità con l'aperitivo presso la cattedrale. Nicchia stelle col sapore, ha il retrogusto di un tesoretto che non si rischia. Amerò gli obbiettivi retti, la notte è croce illuminata che rovescia l'icona di rugiada. Cerchi l'ubriacatezza, la tracotanza non smuove le strutture. L'equinozio dorme e sbatte le ali sul lucore rovesciato, rimuovi il plastico intercettando il cross della testa. L'umore del terricio sbriciola le sagome floreali senza pesi nè colori è la vitalità dei tornanti.

Di fronte al giardino di Diana piove sul grande disegno. Il vapore si alza terracqueo se annerisco di giada. In città milioni di archi flettono all'unisono colpendo rose goccianti. Verrà il freddo e nessun solstizio annuserà il fumo dei tizzoni quaggiù, alle zampe il corvo s'incatena la pianta larga. Diedi il via libera alla spiaggia disseminando pesche rotolanti sulla cresta dell'iride. L'onda noce si schiantò su parti ombrose e la particella di vino che profuma è la chiave di violino della povertà che sale. 

Le pietre al sole derubano il punto luminoso che scompare tra le nubi. Il compositore frusciante di colori che debordano dalle tasche di ognuno, smuove l'atmosfera col pensiero. La corrente silenziosa non fa baccano e s'incammina bruciando il vento sulle chiome degli alberi. La costa rigurgita olenadri
e le sciabole hanno il sapore della tibia che unge il fondale. La sabbia snocciola chicci di grandine al vento. Il cavatappi si arrende al culmine del lavoro risucchiando il tappo nel proprio antro.

La confidenza dei lapilli distraggono l'egemonia della caldana sopra il forno. Disarticolare il sorso di vino nel calice risolve la guardia tempestosa. Raffreddato dietro la tenda anulare le particelle vocali confinano nell'abisso salendo. Ammansire la volitività, accende la miccia del Mercedes in vendesi, e le monete sparse sul banco sono il resto della linea del tramonto. Nettamente crepata sul rostro dei gabbiani, col timone sorvola interrompendo il connubio tra terra e cielo: treno di un'ora certa. 

La luce della torcia seminuda intravede la scia metallica di figure sedute al tavolo senza gambe. La notte lancia l'aria sugli occhi e la brina resetta un brivido sul veliero di conchiglie. Il fondale torbido annuncia l'arrivo del segugio polare, la ricerca di lumache impegna le dita mentre l'uncino trapassa. Vidi che la gente raccoglieva piume di arcangeli da terra, al mio passare cadde una moneta da dieci cent sul legno tintinnante, la tortura mi ringraziò di fortune per trent'anni.  

Di questa forzatura le balze non sottostimano l'astratto: un pugno equivale ad un salvataggio marino. La permanente sfiora i platani e prima di morire sale la ripida strada che conduce al maniero. Troverò il manifesto degli intellettuali odor rosmarino. L'amplesso steso del ceto medio non esiste sul giornale appallottolato, non sarà itinerante se squote divenendo normalità eccelsa. Un pizzico di oscenità e questo rigore modaiolo che mi attrae e mi respinge s'infiammerà nella rotonda artificiale.

Perfettamente cablata la dentiera sorride dietro il vetro sabbiato di rosa. Disegno il supermarket sulla collina, collcato presso il borgo tra centinaia di alberi plastificati. Non deviano la conoscenza che non trasudano, impastano la Bibbia del possibile delirio di onnipotenza. Svetta l'imbarcazione architettata per non scivolare sull'acqua. Il danaro vola di bocca in bocca d'oro e platino tagliando acconciature bisbetiche a numeri primi. Tutto rigorosamente in bianco la location si addice per foto.

Il cane sulla coperta ode la quercia acconciarsi nel barbecue. Il vento in grazia di voce e sposa siede al sole su brezze ferrigne. Si avvia il nodo muscolare umida e umbratile croce che si affoga nella nube eccelsa. La sfinge ricovera la spiga tridimensionale violata dal calore. Vibra il sottosuolo tra le tomaie, sabbie consunte hanno fori di mimose. La natura non infierisce l'opera attraverso i cocci di bene e male; alluci e talloni legiferano il sangue sul plurale di granelli cotti. E' l'alba dei tartufi.

Non posso rinunciare, le affinità sono elettive se navigo in plastica, a fiocchi svetta la posidonia. Dea delle acque risorge dal mare, annodata plana. Floscio sulla sabbia dell'arenile il pacchetto di sigarette a farfalla in quattro colori decolla. Traspare la tanica di un'officina meccanica. Marinai e tute stanno al collo dell'ironia. Messaggero di notte la bottiglia è senza veliero. In esodo sul vento la carta di fustagno vola appallottolata, cerando chi suona alla radice. Tramonti e baci nel sorso lilla.

L'eutanasia è una frazione solipsistica sul vertice del crimine. Non passerà la notte in bianco senza la vestale adibita a guardia giurata, col collare di diamanti le ginocchia cadono sul traliccio. Sul margine dell'errore, prima del disegno la prospettiva. Il mosto edulcorato, contraviene la vettura sull'apice del palco. Il cervo figlio primogenito copre la distanza con un balzo di banconote ruvide, dal calcolo dei dadi a sette numeri, la penombra didascalica. Risiedo nell'intercapedine dov'e la guerra.

Staccami la polveriera sul dosso del grigiore immane. Intravedo i fenicotteri da cacciare sorvegliando dune. Il territorio è un piovoso colabrodo. Il sole mantenuto dall'indigenza del baseball è a settant'otto giri. La chiazza che occupa di solito sussulta marcescente e lisa negli orli presso il continente. Il mare sbuffa al telefono ai vortici con ali finte sormontando la pelle nuda nell'orbita a maglie new wave. Il cormorano veleggia sulla cresta moneta di scambio per prostitute del rione.

Il rito plumbeo dello spirito non ha complici spaziotempo egemoni in preda agli assassini, primi attori senza imparare la parte dicono la oro. Intono il canto per sazietà, la quale svapora sulla cartografia. Il labirinto assiepato nell'organigramma incide sull'acclamato peyote per l'ennesima volta. La fama del voyer popola al tartufo, conservando  la brina arrugginita per sottoporre la pena naturale a radiografie astigmatiche. Il calligramma che condenserà la bigiotteria deposita la corolla in angolo.

Si stacca dal soffitto la spugna pomeridiana. La tunica a gorgiera riveste il sole ricucendolo dall'orlo. Il cesto fluviale corregge le monete raccolte dall'ancella. L'unghia gracchia ribollendo al mistral  la croce di metallo. La chiese cerata sul cucuzzolo dell'isola, secca d'umidità coltri di danaro al vento. La sfera di Sisifo rovina sulla battigia dorata con la forza d'un epiciclo denudando lo scoglio. L'ordine di promontori edifica palme avventate mentre i collant li tiro sul volto rapinando le coscienze.

La quintessènza di moto circolare straripa a gesti sulla gomena fissata al drink colorato di mnestizia. Il salato inditreggia portando calze con i rombi e le scarpe di mogano tra le dita sfatte. Sopra le righe la zampa di gallina arma i sottolineati. Egli cosse le sillabiche piogge in paramenti di ritorno. L'onda che fuggì dal plastico sormontava il mimo a nota di pentagramma. Sul far della sera la falegnameria giacque sulla collina di rito apotropaico. Si slaccia il cordone ombelicale dall'asola della sfortuna. 

Dove la nudità futura è gioia il libro è foglia in retrospettiva. La carovana lontana dalla fase obliqua, a maremoto rintraccia l'orso navigare sulla darsena del moro. Il muflone percuote la campana con l'osso brillante di fugacità. Non saremo noi a ripristinare le onde magnetiche per visioni spaziali. La prateria sfuma rimanendo senza ciglia, contorce labbra piene d'orgoglio abbozzando salti plurimi nel ruscello. Il commiato avviene sotto le braccia aperte del grido d'ansia. Il martello batte un colpo.

La modernità inconsulta schizza di folle su plastiche mattiniere. Oltre il pomerigggio il motore a due tempi ingrana l'uscita col faccia faccia per la notte. Pulsa l'astro sottintendendo la confidenza, così annuso fasci di ciclamini invasati. A grandi falcate le porte astratte sbattono cicatrici al vento; Mozart continua la siesta. Il grande profeta calcia la palla d'esterno destro, ammiccando donne formose. Al tavolino della fumosa Amsterdam le ragazze sono gracili di sensualità. 

Il centro tonale d'interpolazione sul carruggio vira calcoli irreali. La nebbia verrà sorniona divenendo poliglotta pilotando la funzione dell'avvenire. Calzoni sottoelevati il coltello a serramanico nella calza infila per tre lo scrigno per garritte sul muso dei carlini. Dalla costa il bastimento piuttosto che rasare il cuoio lascia crescere la sterpaglia. Il movimento di ballerine allo specchio d'acqua e aria s'incendia di nero fuoco. La montagna rasserena dalla vetta la prua d'ermellino del moderno Caronte.

Le seggiovie garrivano catene la loro completa innocenza. Rimisero nei pianti i loro debiti. I contratti espulsero milioni d'insetti infangati, con ordini svelti la mangiatoia dei bovini converse sull'acustica dei tratturi sotto suolo. Per mani leste truffaldine le armi commisero l'errore di suonare l'avanzata ritirandosi dopo lavaggi freddi. I diamanti cercati li ritrovarono i commensali tra i denti del maiale arrosto. Il cameriere servì il vino richiesto, i bossoli nascondevano il copricapo.

Sulle cosce l'effige di fine confine. L'aquila oltre alla scommessa del timone a pressione, rise il collo sulla destra come innovazione clericale. Il pandemonio rimarginò l'ala di sinistra vedendo il regno guasto di ribelli sotto mentite spoglie e macerie. Il cataclisma risuonò nelle stanze da ballo. La cartina appesa al muro non orbitava attorno al sole. Alla stazione sulla piuma, le scarpe capovolsero la scia diretta a oltrepassare la nuvola di fumo e materia grigia. Ritorsi il mare a nido di cotone. 

Si schiuse l'aurora dell'elettronica irrompendo in un fulmine cotonato. Storicamente bulbo conservato in bottiglie da un litro. A fiotti magri e pompe vecchie il chiarore in botti ambivalenti costruì cicale ed elitre. Colui che trasportò le traversine allineò gli opifici sull'altare d'artificio. La linea tettonica si difese erroneamente nell'incipienza di una abbeverata tra colonne. Il falso piano di cartaceo siderale attraversò il pasto geroglifico annientando l'illusione. Pace e guerra erano privi di grembiule.

L'oste dalla vita larga e dal calcagno marcio, lanciò al sottosuolo l'inserzione spericolata. In superficie il codice strinse un'alabarda infilando carne rotta. L'onore tramutò echi per conchiglie. Dall'auricolare il maremoto era footing stempiandosi a borchie soleggiate. Il buio immatricolato avrebbe scavato numeri a braccia e inchiostro. Amato dalle origini la farfalla sangue sul gomitolo richiese l'immagine di sè e dei baffi finti. Il revolver del nonno morto in guerra era carico di pietà.

Per ciò la musa si liquefò sullo stendardo del piccione viaggiatore. Colpito al volo rimuginò l'enigma sul lucore a carabina arzigogolata. A migliaia consegnarono la caccia grossa di quell'evento le mani, meditavano risalite. I venti librarono perle secche al volto per ciascuno e l'ultima folata divelle gli assassini. La stirpe emigrò a barche rotte e mulinelli a borse asiatiche. Dai gorghi sabbiosi spuntarono le macine dei rotocalchi. Pagine di mansuetudine erano incollate al muro dell'aiuola.

Sotto lo stesso tetto, il nero di luna non più intelligente di un sesterzio nella crepa del diavolo. Che sia con me la sintonia e a tracolla il bacio vivido del sangue. Il mutamento radicale del rododendro mi attanaglia il settimo senso. Legato alla catena abbaia. La mediazione chirurgica soffia sul vapore che svirgola sulla soglia di acque rapprese. Scatto sul lato allontanandomi dalla stufa, sfoglio il libriccino concentrandomi sul rosone psichedelico. Il coro non disturba il burocrate a lacci trasversali.

Scrocco le dita all'alveare: propongo l'investimento capitale. Garante in valigia. Legato all'andamento di indici pollici e misure varie al tre per cento, alla quaresima il trompe-l'oeil sguscia aggressivo sui tacchi da coccodrillo. La villa brucia di fumo arreso. Nonostante la non belligeranza i morti impiccati risolveranno la propria resurrezione con maestria. I bottoni luminosi rifletteranno il grand'angolo del fiato al freddo. La cena sul lungomare demolisce il terrazzo e gli ombrelloni sulla cresta del vento.

La sinfonia notturna è stilla di resina caduta al buco del cilindro. Nel tentativo trasparente di ottenere l'immoralità del casco, flipper di rami al cielo pulsano cortecce nefaste sotto i porticati. L'approdo a terra fissa la sabbia dichiarando il modo di cucire le tomaie. Stile benedetto breve e l'albero di radici si attarda, conoscendo la perfezione del calore vetrato. Lo spazio vive di arbusti e gorgheggi a sogni notturni. Acuti si dileguano sul mare a macchia d'olio sotto la volta delle lampade.

Mi arrampico recalcitrando la scaletta macchia costo zero. La vetta dalla voce rorida si affranca dallo sfregio secolare, montando picchia belle sul tamburo. Il mogano torce le falistre ruminando al fabbro stock di raggi opachi. La conchiglia a rango fragile di eucalipti si interroga sulla filosofia tonale. Il fiuto del pappagallo lingua di cane, lappa l'acqua di ringhiera piovana: scodella argento nei fondali azzuri caraibici. Sciaguatta la ciabatta come fosse acqua riemersa dalla sabbia del deserto giallo.

Sappiamo chi conosce la perfezione quando il chicco d'inchiostro trapassa il dono spezzando le stelle. Non sappiamo dove la luna colga l'intonazione del vento, nè da dove il coro tragga lo sciabordio dei lumi. La sartoria è scena muta, lo scoglio pare indaffarato a saltare gli ostacoli fluidi. La forma cresce nella radura arrampicandosi a macchia. Il picchio costa il doppio quando picchia alla finestra in pelle. Il fabbro irraggia i ranghi fragili di eucalipti e gli scuoiati da particelle sono i sentieri.

La tromba l'annacquo scartando carta stagnola sugli orari. Dal treno col saluto aggiorno il meridiano osservando dal basso verso l'alto. Disallineo l'antartide a ritmo vintage. Scisso con la piuma che rotea sull'occhio inietto sventole a gonfiori bluastri. Conquisto l'immensità delle particelle meccanicamente con modelli infrarossi. Armo di sana pianta le tasche civili con rime e revolver, sul fiume le teste capitozzate conquisteranno cippi commemorativi dimenticati. Muoio ignota in aule rosa schocking.

Tristemente appendo la chincaglieria guercia sul monte Athos. Intravedo l'ortodossia sul terrazzo nei biscotti del te pomeridiano. Palme sorseggiano la giornata levigando foglie a venti basiti mossi dentro i punti cardinali a spago e rossetti muliebri. Ti dico che ti amo e non mi credi. Sono cresciuto mezzo metro dal bacio a schiaffeggio a diamanti garbati. Spogliarmi a occhi esponenziali amandomi carponi e garbo presso bestie dal collare a filigrana. Incollami la pelle in un puzzle d'amore e odori.

Conducimi attraverso i cieli della metropoli, all'approdo del triangolo; file circolari l'orbita di gomiti sul nome estinto. Stampato su pergamena la barca sull'acqua scivola nel rigagnolo. L'isola attraversa a balzi la sirena che suona in picchiata. Soccoro la pietra di sonagli, controllo l'orologio a nevischio al polso. Chi scende arpeggia il proprio carillon, simulando il tempo che non ha più. Rovescio i numeri ad anelli geometrici, sul far della sera parcheggio il toro nel rimessaggio verde che scalpita.

Al protetto spirituale attrae la conchiglia, fango nello stesso orario con cipiglio levitano. Ammanco di perifrasi e la veglia avviene in piena notte con un merlo, finto. Il cuculo ha senso estetico e partecipa soggiornando nei bigodini calibro nove ventidue in testa. La forca, canapa di ferro azzimato, contrae il crotalo dal sonaglio pop. L'allegria tinge il proprio cesello dorandosi di ocra, le oche palpitano sulla palma in fila indiana superando il valico nevoso obliquo e vero. 

Trepidante sul molo elastico isso la gru paglierino sull'aria livelli e rendite. In quello sbalzo impetrato nego col pisside in posizione. Il revolver dato rosa fuse il pianerottolo a sgarbi. Ebrei mussulmani con la mosca in bocca applaudivano il crogiolo dove il tartufo esalava l'ultimo respiro. La montagna non si mosse nessuno perdonò l'imam per la pace.Presenze concepite dai sensori elettorali tracimarono sulla frutta del mercato, contorti quando si è a pezzi. Innestarono tubi spettacolari in rima.

La risma arrotonda l'educazione allo zinco dai cingoli incarnati. Allungo bicchieri d'acqua digito il nevischio e ringiovanisco appallottolato. Circonfuso presso il forno m'incendio, carbonizzato al dente verifico l'eleganza plateale scorgerdomi rivoluzionario. Ceduto a legna mi sottraggo al rito in dodici ore dall'intuizione solare. La nevralgia del ginocchio la supero con la discesa dal pendio in groppa al pony. Contraccambiando la tinta cerata per la manifestazione, legata al buio vinse il montepremi. 

Passeggio sul litorale e sviluppo un'idea sull'indegno che nuota. Lego al collare la scacchiera su cui il destino mosso brucia pregando sia finita: cambia vita. Dilato il quadrante anima e cuore liquefatti. Le saldature le rimuovo, il bluff non lo seguo. La concorrenza mi snerva e le prove mi disgustano. Non so e non m'importa, tutto ha una fine e la fine è arrivata. Collego la fune, il pandemonio attorniato da ghiere rumorose carica la dinamite sul velivolo incartandolo di carne fresca.

Uomini a mani immerse nell'oblio della terra presso il sale originano il galoppo rotuleo controllato. Da teche solari rimuovono copricapi pieni di dollari. Al limitare del bosco gli assassini attendono l'impalcatura sinfonica per muoversi. L'alcova dell'imbarazzo è mortificato sulla spugna del golfo. La fusoliera spinge il materiale fuori portata, la mutevolezza lo rende imperdibile per il radar. Non danneggiare la portiera del vocalizzo, la membrana si ricuce e la storia si ripete. Dammi retta.

La corsia preferenziale conserva acini adombrati per le feste. La cupiglia serve sull'unghia mazzi di rovi sfarinati, raspando nel fienile, calcola ogni domenica da affogare al palo. La vena a spanne si ritiene spago millenario ventilando apnee di venti alpini. Brilla la mano. La luna pasticca dal colore metallurgico, fugge dal binario. Il capostazione rimprovera la giornata spesa sul versante del biliardo arcobaleno. Il colpo vincente manomette lo sfrusciare della sottoveste sul naso d'oro che sale.

Rispetto a tutto il bailamme, mi mossi fagocitando l'improntitudine. La malelingua si seccò sulla via dell'impulsività e l'infiochire perequo fu distanza periplo ad alcune navi ingolfate. Lo sciacquabudella respirò la mirra, il tetracorallo divampò ricomparendo dio fuggito di prima mano. Il paradosso dell'orrido squaderna il veliero del sud autoreferenziale. Cova l'uovo sotto la corteccia del lenzuolo e l'enclave notturna sgrassa la passamaneria. Spengo l'insegna del sudario programmando la fiocina.

La doppia V è il masso e nitriva sul petto isoscele. La vegetazione conteneva il tubero di quarzo, sul discorrere si trasforma bacca per chi lo raccoglie, talmente vero pare finto. Rumoreggio sul costone glabro, la gleba del frutto minerale si scosta dalla sottana. Il tramonto odora di frizzante l'acqua ha il colore del turchese. La contrada devia sulla bandana il fronte dell'attacco minerario, la fondina ricerca l'arma corta sigillata oro e arte. Buche crepe nell'animo detestano la regolarità del genio.

Il caos di spalle, la baia l'avanguardia, l'ombrellone chiuso in spiaggia. Le barche a riposo sul terrazzo miagolano la mareggiata, pochi turisti, cadaveri sepolti sino al collare, si abbronzano col fuoco del tizzone. Rientro in casa. Il marito avverte la moglie prima donna, ha il coltello infilato nella schiena. Il rombo del velivolo s'incastra nel timpano della barra. La banca nel frangersi disgusta. Cambio la mimetica dell'airone sul palo, la torcia in cima al nido flette la gamba rovesciata. Il dollaro è verde.

Arde la schiuma dove col pennino istauro la tiratura dell'inchiostro richiede la quota dell'azione. Il saio monogamo rileva il quadro vendendolo per poco. Nei plurali i volti intonsi, fiutano spartiacque col naso di frasche e alloro. La rampa sull'umido del cavalcavia scoperchia il murales sonoro. Stendo la bincheria di teflon e la vernice dell'aviamento la occulto sotto un metro di terra e polvere. Ogni ora sul foglio fard la coppia si spoglia e smonta l'ascensore a piccoli pezzi rivendibili per qualche rana.

Le nubi comprano il suolo aperto per l'occasione al palmo del vento. L'atèlier è mattiniero, la natura irride la veste. Livree appese al filo di tungsteno debordano primizie sull'eclettica lingua. Chi dimora corre il rischio di vivere nell'insonnia, fiore d'oppio che galleggia remoto. La fiamma condensata nell' atrio pieno di ossa alla periferia del cervello, svela all'acqua particelle di quanti futuribili. Frantumo il ritmo alla rovescia dividendo con la forbice il fazzoletto di seta, intaglio il rubino a riga di pensieri.

La vita è qui: colora il pigolare del giorno pur essendo notte. La linea blu imprigiona il medio oriente a manette argento, splende oro all'approdo. Rimango imperfetto sull'equilibrio dell'ansa. M'increspo sfiornado larici, scivolo sullo specchio di fronde. La preghiera a mani giunte mormora quieta dietro la pietra levigata. Il nocciolo ha le nocche rocciose, l'ultima volta spense la sigaretta con lo sputo. La barca in carta come orpello, è glifo di un affresco ai primordi. Il terriccio del cranio ombra di legno.

Il banco riaffiorato commemora il gelo del prisma geometrico. L'acquitrino in prima classe scopre fiocco rossetto falsi. Le bronzine su cui il drago decolla hanno corna ripiegate su torme funeste. Recito il palco tra ombre carnivore ricucendo il verbo. La gonna incardinata all'edicola è storia calda da recitare come ogni santo giorno. Quando il muschio  riluce verde livrea simulo il rapporto luna e marea al semaforo. Il rapido delle 22,00 tritura il gallo sul muretto: graffio il vento dietro la lacrima.

Giogo di roulette ad afrori sintetici. La sambuca lesse la mosca macerare il suolo argilloso. I numeri debordarono in flussi fluviali altrove, cornicione a edera dal muro ai piedi. Ammisi la rampa funebre constatare i propri rettilinei angusti. I maratoneti scattarono selfie e tulipani in bocca ai passeggeri. Le donne vendettero stime al mercato del tartufo bianco. Non brillava più di un faro il cestino di cellulari in orbita, ruotava sulla botte, la quale rimase al centro di costellazioni alla canapa frizzante.

La poesia che mi abbraccia ha rugosità a callosità acciliate. Procura dolori occupandosi della parte tecnica per la discesa a macchia frontale. Scarto le lenzuola madide di sudore, la maculazione dorsale la recupero nel diario. Avvolgersi nella creatività è donna a bende di protezione. Predire il fiero traffico a unghie feline occulta i cerchi infuocati. Inquina l'infiorescenza al limite della rivoluzione. Sale il ferro battuto dall'occhio dabbasso, se scorge i temporali a grandine ovale. La trama sfuma.

La miniature di rododendro sta nel prato a mosche reticenti. Un paltò d'alto volume, mattoni in mano abbassa al freddo il lago rigido in verticale. Scompare un sacco di lame e strugge l'anima. Il cielo a gocce impedisce la calata di nebbie azzimate sul cartello. L'acuto del poligono col naso ristrutturato, impedisce la vampata. Il glossario è in cortile. Appeso a fili di seta le valanghe allinenao spade sul confine. L'orecchio adesivo nel baule freme di morchia e fuligine. Il naso greco è dell'ultimo piano.

Compare il patto efferato ad anelli e pietre dal nord, abbagliano lo sguardo dell'ippotalamo nel primo piano. La parrucca galleggia all'incrocio, presso la rotonda un water esegue il suo compito di vigna nana e rigogliosa con l'ortensia a corte di piovaschi. Racimolo moneta per il futuro andante. Minuetti e ospiti col remo e flut iscritti nel quadro scolorano il rettangolo. Il fosso sulla provinciale è il rifugio di ogni astro friabile e legato alla bisarca, con l'ombrello per l'argine eroso affondo nella melma.

Tu sei chiunque, se guardi in un atto fondamentale di amore. Eccelli di un'imminente autostrada con deviazioni e parabole verso il Paradiso. La felicità ti raggiunge inaspettatamente con un samples hip hop strinato dal freddo tra la suburra. L'unghia adulta della mano non lo richiede ma l'universo rotola in un balzo sui rami cinguettando. La dea mi sorvegliò, mi svegliai, scese dalla scala, si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia che ricorderò per sempre. In ogni pelo la raccolta di merletti Rolex.

Lo sguardo che tradisce è perenne, la panoplia segue il martello pneumatico. Il destino proclama la propria indipendenza sulla barricata del soggiorno. A viso spento, luci soffuse, il gatto miagola la vecchia storia degli internauti. Amo la carrozzeria dei tram, ignorandone i jaeans stretti a buchi stone wash e la musica dei defunti U2. Nel comignolo di metropoli incanta le signore con pagine in plastica e riso col paracadute. Passa la nave nera, è riconoscibile sulla schiuma dell'onda e del viso.

Da come parla, tace l'asso sul versante disgrazia per lo stormo ad acqua tinta. L'uncinetto imprigiona l'alligatore accappella del fungo a fratelli. Nel bosco triviale ripudio la scala in seta urban camuflage per l'insetto d'ambra. Al materasso abbandonato è avvoltolato un sigaro cubano, la morte piena di sè non è errore nè reato. Al duplice cappio la testa ritmata ha la scollatura periferica mossa dallo spago. Le caviglie da schiavo dietro al cespuglio della piazza vedono la statua spezzarsi in un sol colpo.

L'uomo è vita biologica. La verniciatura pelle in polvere è decorazione del sottosuolo imo chiamato sophia. Diffusa tra mitocondri in simbiosi ai filamenti con la disco explosion dell'universo calcareo è ritmo circadiano che gravita in. Bolla arcobaleno che galeggia a lume di candela. Nel moccio, sopra l'insetto secco, sul tavolo di mogano, da cui fugge il ramarro col guizzo del retrotreno e la carota tra i denti. Lo scarafaggio indietreggia nell'ombra sino alla fine di THE BIG PAYBACK degli EPMD.

Ti invito sul crogiuolo del mondo, che tu capisca l'esatto contrario di ciò che non dirò. Nella formula magica del valore più alto dove l'intelletto si posa con la volontà liberty che non tramonta. Sulle mani affusolate che nulla hanno, non rimproverarmi eccetto il giogo: soffro la luna sulla musa che porto in tasca. Nuda e ricoperta di foglie di nevischio sotto l'olenadro dorme segugio di alveari luminescenti.
L'alta marea accende il solito falò sulla tavoletta di linoleum. Calcio la matrice sulla traettoria.

La sfera rimbalza sotto canestro convergendo linee parallele ai doppi passi. Attraversano la mezzeria
della giornata afosa, col vulcano sul colletto che manda segnali di fumo al nubilato. Costringo fango e lava alla chiusa dell'elmetto greco. Eluso da faziosità conquista il microfono profumando di candido acciaio nel primo piano della foto. Il mio avvistamento sul promontorio abbracciato allo zebrato corto circuito, mi macchia di vernice. Non sarò per nessuno e non dirò la verità gettandomi sui sentieri.

Tento di deviare il salto della corda rappresa. Il sangue della mano divina mi stringe la virilità tra il pugno della foto segnaletica di Jane Fonda e la palla in rete di Schiaffino. Al tallio, numero atomico 81, piace la compagnia dell'iridio numero atomico 77, da giocare sulla ruota di scorta del baule di qualsiasi auto metallizzata. Il teatro scorre sulle anelle, il passaggio al sillabario implica conoscenze. Nitrisce il salnitro sulla nequizia che sale in quota. Incorono la cima acustica con la Fender guitar.

Il riso barbuto del barbagianni impiantò i girasoli ferrati conquistando le nocche serali. L'upercut non fu risma a forbice. La scarpa svolse il proprio compito raspando l'ennesiam calce sulla coda dell'erba. Lo squarcio arrosto a tubero grigio incendiava la veletta sul volto. Vortici antichi rovistando il tripode condannarono le sventure. Il rivolo petrolifero ancheggiava popolarmente rumoreggiando conchiglie plastificate sul lastrico rovente. Viene la cresta in platino forando i venti del nord.

Quando fui giovane l'acquitrino imbevuto di foto, tinto di carogne dismesse la cupola d'oro. Non vidi nient'altro che la rupe frangersi sull'onda magnetica e la frattura mediatica delinquere sui gradini della raccolta. Volsi lo sguardo altrove le messi erano mietute dalla natura liberista scoperchiavano le punte dell'iceberg. Plasmai il cratere lunare riducendolo a calcolo globulare, infibulando la furia delle trine fisse sui pali. Così precipitarono le raffiche del mosto. Dalla collina il motore di respiri riposò.

Temetti la marcia fosse folle armata di canne lacustri e canditi. Sul plagio della penisola intervenne l'arcipelago. Trattene le briglia dell'insoddisfazione tutto punto. Invitato dalle dittature del sottosuolo, nella periferia teconologica fiorirono teschi, ossa, clavicole diamanti. Scaglie di moneta sull'alabastro mormorano la lingua perduta dei paesi baschi. L'albatros parcheggia il piumaggio sul timone della vetta gettando la spugna: sul parabrezza i Ray Ban. Conquista lucida moderazione.

Lo strumento a fiato sulla carcassa è vece del mirino sulla canna. Invia la prima radice d'argento alla strettoia luminare. Il premolare ritrae la cupiglia mostrando gli arti attraverso il vetro. L'ombrello vegetale nasce sull'acqua dirompente. La zampa dell'orso distico redige l'atmosfera floreale in un battito di mani e ciglia. Le mani sporche non sono sinonimo di lavoro. Sotto la quercia le persiane scolorite su cui camminano le dieresi, nel blu sfumano la scena sull'epiteto irraggiato dalla gioia.

Mnemonico bacio ogni odore vive d'anticipo. Emerge la via dissestata. Grilli sabbiati di bitume hanno foglie su palmi e manette: considerano ctonio luci subacquee. Non sarò mai dove pensi che io possa essere, eppure amo. Considera la piattaia ricoperta di carne e pelle come lo sterno. E centinaia di piatti arrotondati, al prezioso animo che conduce i modi, le arti. Scarpe vegetali, luoghi comuni, in perfetta falda aeroportuale deviano il nettare delle pupille nel loculo, all'albume dello schianto.

Fila sull'ammoniaca ogni chicco d'argento, è a difesa d'immortalità modali. Strofino la conduttura sul dorso dell'ametista, rivivo il vincolo mortale, la cieca forma dell'amore. Il tappeto ruggine di foglie al burro rendono focato i ricordi d'altura. Con gli occhi in posizione sotto schiaffo e ira, rivedo il monte di pietà solcato da gelidi eventi. Guardo pensando ad altro, non ti riconosco espropriata nello spirito comunemente illuminata d'artificio. Per tutto l'amore ci scontrammo col verbo infioccato di oro.

La foresta cimata da parrucchiere presso il guscio, impreziosisce pietre volanti traducendo gli infissi memorabili nell'ascensione del disdoro. Odo risuonare Il tacco sporco di magie, nell'aria si accende la tranquillità. Il gas aiuta le spese multiple a quaranta pollici tribali di abbracci al capostazione. Senza zucchero e priorità aggiungo sacchi di stucco ai figuranti. E' teatro vergine la cellula melodica. Orchestre d'archi a salici piangenti enumerano carte d'indentità spagnole dissolte dal viso divelto.

Fuori piove entro soleggiato. Il gabardin femminile, la gonna arrotolata. Indietreggio scomparendo nel tavolo presso la finestra. Il treno è fermo, la porta a soffietto aperta. Nessuno sale nè scende. Una marea. Liquido tra i ricami del diaframma. Il pallido morire delle pulizia alle cose pubbliche. Polvere sei polvere ritornerai. Rimesto la correzione mescolando Divine Commedie. Il vangelo di San Paolo lo leggo attraverso lo scrittore ateo. Cambierò lavoro: un saluto di felicità a chi mi ha amato.

Acquisterei cani con mantidi religiose sui tartufi. Indovinerei la religiosità istintuale per intelletto. La fatica dei ragionamenti in alto mare contengono riflessioni da diporto marcio su giornali unicellulari. L'estetica di movimenti sinfonici tra le labbra sarebbero la normalità. Un buco e l'invidia inghiottita: nulla più di amore per chiunque con l'immensità di vaccinazioni obbligatorie. Il terrore riconquista i margini del conflitto. A scacchi dispari la Regina muore sul buffo gomito del Re.

Avvenne la credibilità in cartapesta sventrando le idee. La follia non era la causa del genocidio, la logica e la razionalità erano gli attori principali con cui condividevo la barbarie. L'altra parte di me, grazie a Dio folle come la strada, amava il prossimo. Attraverso la follia vi era la chiave di volta per l'esistenza umana. La razionalità e la logica vivevano l'esasperazione del proprio linguaggio nel limite umano descrittivo, scivolando nel disumano con banalità divina e seducente. Viva la follia, mi dissi.

La razionalità inventa l'umanità in disuso al nascere, ostruisce l'immaginazione umana noi siamo figli dell'immaginazione. Guadagna oro, non guadagna tempo, sottomette il limite terreno espropriando la divinità che risiede nella magia dei numeri su cui si regge. L'ombra basculante svilisce il puzzle. Disintegra la luna, ciascun cratere visibile procede alla distribuzione dell'aurora. Il gelido impiantito dell'ambra consente di racchiudere in sè la vitalità non più elettrica dell'insetto nel giogo artistico.

E il rimpianto tesse la misura delle tracce. Contempla al metro il sax sul cobalto, inverte le pupille sul Duomo. L'aurea alogena dal seno riluce liberando ali da sparviero. Fune e foulard sventolano a modo loro lo spazio. Il frontespizio piramidale stampa e cosparge concezioni surgelate su scarpe dal valico tenue. L'alito mi spruzza florilegi, curerò le chiome idilliache nel negozio. Il portamento non smuove particelle di buonaventura affamando chiglie ricoperte di edera e filigrana. La sciarpa mi profuma.

Mi soffermai sul terrazzo del gabbiano sul cratere. Telefonai al trasporto aereo sul finire della tratta. I migliori aironi, presenziavano ai piedi del sole il robotico vodoo. Il greto del canale schiacciò i raggi impegnandosi di spegnere la spia sul cruscotto. Tra gli abiti, il merluzzo nascose i rumori. Assieme al complice catturò l'ostia educandola a visioni diurne. Contai le foglie una ad una. Le nervature ramate sfiatavano carcasse di ragni chiodati. Il conte incappucciato dal freddo, svaporò estinguendosi.

La turpe mania di redigere guerriglie commise il reato reale d'introdurre la scena. Laghi d'inchiostro a mezza via, sul ciglio il cartello d'obbligo s'incrocia alla ferrovia. La scorza botanica del ginkgo biloba è vulnus acquatico per cerimonie orchestrate. Biologicamente la cipolla circonda di affetto il numero 88: è l'incipit d'una messa d'estate. L'estasi afferrerà il numero vincente di mano in mano. L'agape della nube introduce il rovo di filosofi perduti su ginestre a labbra nere. Chiuderei l'imposta.

La sfortuna bollì l'onda stabilizzandola nel foro dell'anca. Il refolo di vento segnò sulla cornucopia la propria mortalità reggendo il faro a petrolio. Tra le piume lo struzzo conservò nebbie scolorate, nelle pressioni consegnava i colori viventi su canne d'organo pop. Il fiato di traverso chinandosi converse sul trambusto stringhe di calvizie al caviale. Dal guanto alla finestra, l'ordine si librò alle profondità dell'abisso. L'arco del novilunio avrebbe cercato la rivoluzione annuale per la rivista d'olio e d'oro.

L'impresa sui fulmini si riflesse crepitando in suole metropolitane. Jupiter resistette al linciaggio sul limite del vermiglio, gettò al fiume le pagine eterozigote. Il volto del tramonto si stremò nell'oncia del carro armato alimentando la pazienza. Misurai l'amido del collo lo zigomo si tranciò sul belvedere. La musa sciolse il proprio bacio vibrando soffi in cima  a polle d'aria. A passo leggero la sonata sulla renghiera scoperchiò l'istinto infuocato. Candidi microcristalli ammorbidivano il volto terrestre. 

La vocazione consiste in questo: il jingles ad ossa discinte fende le parole sulla clavicola del fuggi fuggi gnereale. L'idoneità marcia a tre teste nel reticolo di uomini saltellanti su carte da gioco. La roulette dall'estremità dei gomiti, rimprovera la buonauscita a coccige d'argento. La notizia si propaga immedesimandosi sul tetto della crisi come un parafulmine. Un tanto al braccio e le macchie d'olio distinguono il sangue blu dell'omicidio in corso. Il greto dei mari svestono la conchiglia di lamè.

La floricoltura non è indiziata sull'abbonamento sussidiario e non compare. Si ferma alla fontanella promuovendo mani a conca nell'orbita del più. Le peonie nel giardino rumoroso impegnano il picchio sul tronco sanguinante. L'azzurro muliebre carta zucchero e piombo di scarsa grammatura. L'enorme verità popolare la si scorge dal cranio estinguente e dalle movenze di umiltà giapponese. I morti non scioperano e i ragni non balbettano scatenando ipotesi. Il monte Bianco osserva da lassù beato.

Tris di gonne emergenti catturarono proprietà intransitive nel giardino zen. Scommisero il tacco al monte del penny, drogarono la partenza e l'appalto decurtò la luce per millenni. Il portafoglio solare ruppe le corna dei coccodrilli sul desco coniando gli alamari sul cappotto. Fiorivano fiaschi d'incenso alla festa e gli invitati scortavano l'acqua della piscina al frigo bar. La ritmica esangue partecipò alla trasfusione mimando la frenetica performance del comico francese. La Bomba esplose in borsa.

Sul comignolo cromato ogni filo d'acciaio raccolto dalla strada parlava. Tatuai l'alfabeto preistorico e annotai l'appuntamento fuori orario sciogliendo il cane maggiore. A metà dell'opuscolo brillavano le graffette depositate in dollari blu. La mitologia a collo taurino bruciò dalle finestre i cingoli a camicia di forza maggiore. Gettai mangime arcobaleno nel tino del rovere, la bettola bolliva. Connubi di collant a molecole trasmisero il ritmo esponenziale di onde radio per collari di zaffiro nucleare.

Introdussi la mia foto immiserita dal moto innevato. La neve edificava noviluni ad ogni raggio eclettico per antonomasia. Il cratere a padiglioni determinò il delta auricolare sulle cicatrici rosa. A macchia di piatti lacustri, la duna stentava sulle zampe di capra. Estrassi radici dolci per la tisana del figlio intonato. Col binocolo vedevo le palme infrarosse bivaccare sul terreno vanesio, il pettirosso arse l'aria, sfregava la natura delle penne sull'ossigeno, curvando sull'osso sacro disegnò il tempio.

La striscia longilinea delinea lo scompartimento a reggicalze sino al vuoto permanente. Il volto serve patti prelibati, mentre il calesse sale su ogni piolo decurtandone lo spazio. Il tempo lenticolare premia il robot trainato dal fegato di rame. Rimango serio sul cornicione implume. L'incisione ad alto rilievo nutre la mia andatura, battendo le mani in età adulta. La pazzia è affollata dal metodo che rincara la dose ad ogni fine dipinto. Non rintraccio nessun orizzonte nè tramonto su cui piangere.

La natura morta dell'acqua santiera converge su borchie grammaticali. L'arpa sfiora il tendaggio dalla nota preziosa in retromarcia. L'albume romantico scosta il linguaggio metafisico. Sul canino dorato la molletta risorge muovendo le natiche col vicolo colmo di nevischio, come quando si vince qualcosa. Batto le palpebre a parallelepipedo con gli alisei che spingono i grigi pipistrelli in fila sul dorso della mia mano. Col velo copro il volto assolato per non farmi riconoscere. Carico il diamante di luce.

Il battuto a spagnoletta di filo condusse i venti del deserto. Dove lo scorpione issa la propria antenna, le vedove baciavano l'aurora a granuli di lumaca. I denti dell'ignoto cosparsero la muta del serpente, consegna ai primordi di tuniche a rossetto meccanico. Il mio pomo d'adamo dadaista per consunzione bendò la donna che correva: trovandomi abbracciò il veleno dell'idilio. Le dissi che sapevo come il freddo non le se addicesse: pagine di libro rilucevano d'oro depositando millenni.

Ingioiellai il fox terrier assolandolo silhouette iniettate al cip cameo da brooker. Il collare allo stato brado permise l'amore nella location S. Barbara, così comminando ai figuranti l'osso duro della risma in vetta. Per diletto a vocazione mani in tasca raffigurò l'emisfero australe vestendolo la gonna a tubo al buio. La pantomima di Batman e Robin; nient'altro che amore tra la frutta al mercato e cortesia, col revolver calibro 45 puntato al volto per schianto di vetri e versi. Il voyer rideva.

Con lei non uscii più, la piuma ritta sul naso le copriva la penna di struzzo. Per malia rimasi al pianto eterno quando cucii sui jeans il busto gestuale: estinguendosi emise rantoli di ferraglia e fax. Il piano meccanico vibrò code nell'acquario quando irruppe nel terziario. Redivivo il vermiglio all'aurora si prestò egemone. Sul terreno le zucche a brandelli trangugiavano l'encomio sparso al sole. Essere protagonisti di qualcosa era noioso. Il cavallo privo di muscoli si piantò nel giardino vitreo.

Butterato all'inverosimile costrinsi la parner a fellatio abbraciando anziani. L'orgia audace e floreale in dissapori, riprese ago filo sulla via di labbra e rossetto medicali, ammorbidendo i crateri affissi al bulbo. Fumaiolo incerto riconsiderai i fori ottenuto nel contesto, chiamandoli per nome di battesimo: piaccia o no questo è il destino imposto: due tappi antirumore. Al limite del passaggio a livello il corteo di vagoni ferroviari sorseggiavano il tuono notturno.  Mi vestii di tutto punto.

La schiavitù ridotta scalando marce sull'albero motore, rumoreggiava effervescente, mentre il cartello sullo zigrinato recitava la poesia extra urbana: abbiate cura di chiudere la porta. La fisica quantistica risuscitò dal soppalco agghindata per la festa. Incorporando il macro e il micro sulla tavola di surf la luna muliebre recitò la propria nudità pop. L'orologio della scaletta musicale intonava l'assolo con il contabbasso e la batteria di uccelli s'involarono sul campanile privo di campana. 

Nel medesimo istante il freddo accortocciò il viso, fermando alla norma il sacramento plastico. Nella vita quotidiana il nume pressava gioie integrali attraverso iniezioni sottocutanee. Stracciai il diffusore e dal sopralluogo tornai rapidamente ad anni di consapevolezza in tasca. Il testo unico perse valore dalla ferita e polveri di diamante affollavano senza porsi domande strade deserte. Due concetti sulla corda dell'equilibrio completavano la prima parte dello spazio esaudendo la forza.

Il materasso avvoltolato s'incendiò abbandonando la duplice testa al cappio in spago d'oro. Il baratro rimosse gli echi dai collier alle caviglie. Sbancai legandolo al pistone. Pende ora inclinato il cespuglio sulla piazza spoglia. Il copricapo decollò in direzione della faglia di sapone. Affondai col boccaglio reclinando mille foglie sulla stiva. Al tocco dell'occhio schiavo, il sale prese il fuoco sul palmo della mano. La spina catturò lo zolfo sulla pendice conservando sul becco ustioni dell'arcobaleno.

Rilevai l'amputazione dello sforzo. Scongiurai il vegetale di sostenersi da quel peso inusuale. Braccia di molle secche in ausilio svoltavano fuori mano. Il centro silente per magia, rovinò sul pranzo. Resta la doppia lettura. Migliaia di gabbiani nei ricami celesti legalizzano ogni referendum ventilato. Il lancio dell'impiccato chiude lo zero della brughiera. Non busso a quest'ora. Trema il filo dell'acqua in bottiglia. Vendo carrube rispondendo col gingol ai morti scuoiati dal suono, ed è conforto sul molo.

Ho messe corali nebulizzate dall'io finite imbastite all'orlo di calzoni corti. Di scatto il coltello affetta la foto finchè ci sono. Che non sia mai pur sapendo, il sussurro del non vivere non mi vedrà mai più. Chi sbiadisce gli abbracci, risulta tenue mentre il velo nebbioso nell'intercapedine digerisce la vita. Palpebra ed occhi ingessati li comprendo, non credo all'interludio. L'avanscoperta annoia le distanze, la legge proibisce l'eternità delle arti e a tutto vi è una fine. Crolla l'equivoco su cui gioite.

Mi amo immensamente e farei di me senza voi. Un senso di vuoto immagino qualcosa d'impalpabile termoidraulico. Un teiera capovolta nel sultanato, insopportabile cintura dell'addio. Senza spiegazioni salìì sul predellino colpendo la trapunta a tre ruote fisse. Lo stucco solare a tre dimensioni, narravano l'amo e il verme sul tripode impiastrellato di recente. La corrente civile priva di modestia impiccò i traditori sul bordo della via, raccontando il morir nell'esodo fluente nei capelli delle muse.

Trasporre l'invisibile nitore con cui si visse l'aurora piega le finestre sul dipinto. Al di là di notti coese i fuochi fatui tacquero tramontando e non spiegando le idee con cui in stazione riciclavano le fauci. Un telefono il portafogli, la magnanimità sul carrello del volo per New York convogliarono le forbici d'ossidiana dell'isola popolare. Le scale strapparono la consanguineità dei resti alla corrusca lama la quale reagì invecchiado sul dorso della mano. La bandiera raggomitolata fu data in pasto ai cani.

La polvere spinta dal vento raggomitola le travi piena di foglie e arbusti. Sull'acqua floreale viaggia il malleolo muto, resti del ventre vengono sul battito del tamburo. Le ciglia fragori celesti, immettono la destra nel segno promiscuo. La bilancia nel revolver e nel coltello è sentiero sul crinale. La gobba atmosferica sul pelo del soma raglia il tuorlo nell'ultima frase del giallo. Sgorgo beccando il fiume dal capoverso, nella tinta siamo daccapo: col filo d'acciaio taglio i destini gettandoli nel sacco.

La finta del diniego si arrampica sulle braccia rovistando il neurone colorato. La panca illumina le scorribande a ratti in ferro sulla buca dello sfarzo stellare. Ogni bicolore sventrato morderà il display del manubrio oro. Sula rotta Saudi Arabia seguo la via che suona il pangrattato nella pubblicictica che salta falsa nell'ora mesta. Irrompe la navetta di cartone svita i buloni sulla tanica. Scosto il fucile noto nella mezza luna del solaio, ricoprendo in dollari l'alba vitrea sulla carreggiata del vulcano.

Il sisma è collana di lapislazuli che ruota viso impresso dalla celluloide. Sul calcagno del piumaggio, ogni pinna al volo fiorisce nella vasca oscura. La carta vetrata del limbo sfiora il pappagallo sul nido di roccia è oppio e il vespro coabita nello stesso frantoio, sottoscala dell'ovvio, sulle pendici del viola. Divelto dalla chiusa il budello di scale salda la mareggiata del corso. Suona la rapsodia sui nastri del vento, l'ogiva s'insinua tra le crepe senza nitore o brina di preambolo. La cavità cuce.

Rimane l'amplesso esile sul fondovalle spesso sul tronco del flut. La gemma limite scodinzola nel ventre della betulla. Sulla boccia di vetro la polvere di grano si deposita milionaria. Gli occhi azzurri non temono il freddo di agosto, appassisce la trama vortice che rende lieve l'allure a cuore fili di capelli dell'arpa registro il cambiamento alle porte apocalisse sulla terrazza. Interrompo l'immortalità dei personaggi col body painting che macchia la vena. L'esondazione capitola nella siccità del gusto.

Scrissi un'altra vita, quella scorsa la gettai sul cumulo del passato. Il torcicollo settimanale della lontra vede il collier di salamandra ricevendone tocchi lievi a giardini senza capo. Muovo il tramonto con la scatola melliflua, cicatrice che non fluttua la simbiosi all'oracolo. Polvere l'acquario a capofitto recita nell'hangar la crisi a lungo tempo. Cloruro di sodio in foglie sulle labbra, cavalcano il destriero in retromarcia. La mattina nominale del cuore prega al grande pubblico di legare gli alberi col ferro.

Rimetto le foglie plastiche ad un palmo di crusca dalla luna. Miro non avverando le quattro stagioni sul sangue, un manipolo di erotismi sul crocicchio agita i saluti. Trucioli di lapislazuli per discordia si animano, la chiusa rugginosa dell'ombra versa sul bacile il limite del lobo. Il ventre caldo  partecipa casualmente nascondendosi in sensi superficiali. La donna semi nuda non stona. La dinamo viva crea scorza lanciata è agonia dove conia fionde assaggia bretelle asciutte. Morire è facoltativo e reale.

La donna cinese svende i barbagianni dal balcone li minaccia accesi. L'idea d'immortalità che segue il censimento frutta il ricamo di frumento nello sbaglio. S'infrange la rozza paglia sul trespolo del voil, al vento consumato lo sbadiglio numerico rilegge la storia dei miei passi sul tappeto. Kilim variopinto dalla secchezza del panorama artistico. Dal giornale l'epitteto ruota ingioiellato sulle ruote di speroni. Il punto cardinale infuocato dal globulo di ghiaccio mi bacia sul labbro infuocato dall'inchiostro.

La retta incisa a guazzabugli piega la tovaglia da campo in tempi da lungometraggio. La fune scaglia frecce d'oleandro rosa. Dal campo il reticolo di fagian avanza sul fronte dorico. La discesa diesel bicolore non scollina ritagliando la banderuola nel velivolo. Dormo sul sasso con l'occhio cerchiato di malcostume, indurito dal sale, levigato dal mormorio, creo fori nei bulbi del cervello. Ciglia nemiche sollevano il tram di desideri commentando le rotaie orfane d'alabastro. Il tragitto è nevoso.

Un caterpillar di petali nel sorriso, scompongono il vento in un puzzle. Sul velò lo sguardo. L'ovvio greve all'addiaccio nella canzone dibatte su calcagno malleolo. Ellittico me cane da calcio sul tragitto del pandemonio che si altera. Mi domando se cadere riduce il malanimo estinto. Equo dormo e vivo nella terribile certezza che vi tradirò. L'addio consapevole in tasca di un mashup, è l'innocenza occhio di calabrone che ronza imbastisce le morti future scomodando le isole dal sole che ruota.

E tutto partì dal sussulto pigna vile col diamante in porta. L'osso cittàdino corrode il canale quando sgretola il pugno algebrico a tempo marcio. Di corpi l'inanità è traccia e suona il clacson temperato di ragione, abolisce costruisce l'empio che viene. L'isola sperduta inebria di gocce ma piove l'intenzione reale dell'immagine. Squaderna la nuvolaglia sul torrido assolo massaggia il colore della terra verde brilla sul braccio, simile alla vita che fugge la rincorre la supera nell'occulto non lascia traccia.