domenica 29 settembre 2013

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 Lucky star

Docilmente non leggo il distratto riff dell'origine. Nel mondo dell'orbita. Al sapore di fragola, col lattice spento e mammelle d'acciaio. Impiegate. E coscienziose nei sandali, dal respiro felpato con la cintura di Dolce & Gabbana. Foriere di vite monastiche. Nel ciondolo della Mercedes. Argentata clessidra, lì dallo sterno che oscilla presso Cristo di fetide strade. Nel ripiegato senso, di lieve piuma mai bilanciata; e se anche si udisse. Il fragoroso ardore della cascata del fiume, venuto dall'alto. Il quale divise tinte da battiti lontani, potrei dedurne. Che il giallo, su quei musi d'oca e il candore d' unicorno sulle criniere ondeggianti: se impugno il pomello della faretra lo troverei duro e torbido come un arbusto selvaggio. Di colori iridescenti gettati nel munifico mirto, tra. Nubi che tu rimirasti munifiche nello stampare il clamore. Parlando allo stato brado, ininterrottamente da sfere simultanee. Nel litigio di astri remoti, certo. Siamo diversi. In tutto e per niente e non sono altro che ambasciatore che riporta pene su pene. In contumacia, o a piede libero, ma. Così nasceranno pagine lette. Con cura e nessuno colpirà l'amore al costato, tantomeno. Il fabbro lavorerà chiodi al mercato, per inchiodarci per sempre chiunque, poiché ognuno. Se ne andrà per i fatti suoi col proiettile fuoriuscito dal cranio. Tra i denti dell'orso. Che cammina sull'obbiettivo a spirale, nero su bianco.   

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 Metafora di un Boing 707

Il ramarro in plastica fu l'allegoria di un solco a terra, a portata. Di mani leste in preghiera giunte dall'aldilà, con le chiavi. Ciondolanti nel disossato arrivo, blu dissimmetrico. Spirale attorcigliata al capo. Di un piccione spiumato rialzatosi sino all'ultima, goccia di mirtillo. Gocciante presso l'albero. Dal ramo attorcigliato sulla piega della via d'orata. E tramontata dal senso plurimo. Dove la funicolare tra cielo e terra si contende le marcianti nubi, con le truppe del lavello. In disaccordo. Nel mantenimento corroborato, dalle vetture. Parcheggiate. Che ondeggiavano sui fiori gialli della coscienza, allontanando la riparazione dell'hangar torvo. Dall'ombrello del corteo funebre e funesto marciante. Sulla cresta di ogni fiore e pulpito di un bacio per l'eternità. Aerodinamica nel Boing 707 che corre sulla fascia dando sguardi e lanciando dardi per l'area di rigore. Crossando gli occhi nello sfocato lutto sulla rotta in volo, dalla finestra. Della lavandaia e poi della domestica. 

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L'inizio della fine

La culla arcuata partorì il gabbiano privo di contratti né smoking rosso per l'occasione; e lo vedemmo destreggiarsi. Nell''hangar al cospetto di migliaia d'idrocefali. Dalle labbra smerigliate e brufoli di nevischio in calce, sulle guance. La luna in bocca, ora arancio, ora verde, pelata con la lingua riluceva di nuovi orari grassi e mattinieri. Come intinti tra i capelli e bigodini diamantati nella parabola sulla sfera raggomitolata presso la miniera. Di oracoli pittati nel metano. E primavere rivolte a venere fiorita nella memoria, se nel farlo. Si specchiò nell'acqua glabra increspandola di notizie immerse al blu col salto nello smog. Per ogni arciere, che avesse chiuso la cerniera con la zip, sino al limite dell'orizzonte. Incatramato nel sudario, crivellato di monete e fori. Dove ogni donna per truccarsi s'abbottona sulle labbra, schiere di penombre e afflati tridimensionali. Per poi sollevare l'aurora imprimendogli nel lutto, il sorriso terso dei venti gelidi nei cappelli dalla tesa in oro e i monili luccicanti, mai così rassicuranti. Assieme al dente unico dilavato, che va spiovendo dagli artigli sulle teste di tutti noi mimetizzati, di acque chete.   

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 L'omero tatuato

La totalità dei precipizi liquefatti in chiavi ardenti. Nel montar tatuaggi in molte carni. Candide di crani e di candore tra le cucite volte nel paragrafo del kilim. Dove ogni fiume legato al collo, esonda. Dal taschino di colori maledetti. Nella cuccetta presso il mare. Che svirgola tra i passanti, ignari a quel trambusto di rotaie. Di cui essi vanno sospettando. Siano nudità del piano. Che sulle cravatte suona, senza lira né trombone. Nel buio salendo quieto. Invitando ciascun'aurora, bofonchiando fumi affumicati. A intermittenze sulle elitre di un mogano. In verticale aperto. Di cassetti nella scomparsa. Di delitti e di destini. Col revolver color d'acciaio, sotto le mutande e canottiere. Furioso irrompe. Col coltello la trapunta e il faro pendulo. Come a perder l'occhio, vedendo guercio. Col neonato in braccio, mentre piove il gelo. In un giorno indaffarato.

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 Le porte della metropoli

Presso la metropoli di filo circolare, l'orbita del nome stampa su pergamena l'isola attraverso balzi  edili che dalla sirena son soccorsi nel loro controllare. L'orologio di nevischio al polso che va scendendo e suona. Carillon nel simulare il tempo il quale rovesciato di rumori, con gli anelli nell'infrangersi, disgusta le mimetiche dell'albero. Con la torcia puntata nella diretta in cima al nido di schiume ardenti dove col pennino si va instaurando in plurali. A volti intonsi col naso spartiacque di frasche caduche e accatastate tra i filari di color champagne. Impomatate da un segugio che sbevazza. Ogni ora sul proprio figlio. Che pur pregando, si disse. Stessero in coppia nudi e col guinzaglio. Venduto a poco da qualche rana. Impantanata nella melma e cimata dalla parrucchiera in fango. Presso il guscio, e impreziosito dalle pietre dell'orgoglio ascensionale in quel disdoro. E si ode il risuonar dei tacchi all'aria; nell'accendersi di tranquillità. Col gas che aiuta in spese multiple, appresso a sporte piene quando si chiudono le porte. Bum. La capocciata alle porte vetro aperte. No chiuse.       

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 La parentela degli inquirenti

La donna degli inquirenti, pompava ampiezze negli strumenti; donando freschezze d'istruzione in effrazioni a bandiere urgenti. Asciugandosi le mani ai piedi flessi, nello sbiadito vento di un giovane animale. Dalla capiente zucca, cementata tra le mani. In divinità di piogge rivettate, col foulard termo stampato. Nel giardino. Di sassi in superficie, non esalanti lo smeriglio di fioriti odori, sebbene nei midolli si decantassero fresco, il vino. Imbottigliato e conservato sul cucchiaio d'istruttoria, dopo il caffè. A raggio luminoso. Divaricato nell'impalcatura, dove non potrei immaginarla. Se non pescando per ore, isolato dalla grandine di altura. Carteggiando incondizionatamente i congiuntivi. E fresando i trapassati sulle lapidi circoncise. D'incapaci assai remoti. 

sabato 28 settembre 2013

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 Kill em with kidness

Ci trovi in tutte le direzioni osserviamo il cielo a colonne vertebrali ombre sulle schiene carbonizzate trasportiamo insetti; con lo Smarth- Phone messaggiamo sul calesse in conto vendita  rame ottone. Il ghiaccio attende gli steli s'infila tra pettine capelli. Affamato sul sentiero diurno, ruvido sto nella fila di peli d'acqua increspati. Sull'onda anomala al sole animo di proiettile rendo il moderno colabrodo demodè. Il sangue zampilla e fuoriese a fiori in gomma. Dalla fessura di quel tubo il giorno spiove sull'asino mentre inforco l'occhiale astigmatico. Le penne invadono l'ossigeno, bianche sgocciolano in mille inchiostri annaspo a corsie umidicce su tutta Europa. Al buio vedo zolle in orbita. Le rane adiacenti alle finestre entrano ed escono dai teschi, la rosa nera in bocca. Tra i denti technicolor delle ragazze il fiotto del pubblico a fiordo finnico sul collo fissa acari pendenti e memorabili sull'amore: tuffi lapislazzuli raggomitolati a fiocco d'oca nello stagno dell'haiku. Il brusio provinciale è della ricchezza non più di moda che simula la povertà. Uccido con dolcezza porgendo la mano nera ai benvenuti color fucsia, abito che scintilla pop fuoco sulle fiamme. Al volto della Musa invio il labiale femminilità meravigliosa un bacio ogni volta che la intravedo recito il Pater Noster al cospetto di piccoli demoni intuiscono ma non sanno volare nemmeno fare scalo sui fiori tantomeno respirano l'amore da cui odo sentimenti eterni nè il mio cuore.


    

venerdì 27 settembre 2013

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Nella curva trafficata la femminilità Islamica controlla il tallone togliendosi la scarpa slacciandola d'allucinazioni. A stringhe rigide la festa marcisce sul palato del ramarro in rapida fuga, individua il confine e mastica. Tra l'asciutto l'umido rosa della cascata dista il pezzo debole. Intervengo con la tastiera tra le rocce prive di guarnizioni fragorosa dei cingoli, avanzo pentagramma. A gran voce apra la spaccata della lama duale col melograno abbottonato digerisce la propria meridiana. Umori tracce sulla sabbia la malinconia a righe orizzontali. Confluenti al violino in jeans filigranato, dalle intemperie lei prorompe col maquillage nel denim; al passo attillato la parure. L'oca sghiaccia a monte il cestello, stesa batte il sax metronomo, la notte di piacere sul cuore, seppur spinato si mostra lentamente invescata a quadri senza applausi. Come quando ci si rammenta di vivere contraddetti nei silenzi. E la cimice acerba nella nicchia più volte in vetro svanì dagli occhi. Non può diversamente. Con il tanfo la vespa impazza di scaramucce gioia, nel dolore la schiena infila il proprio pungiglione sull'odor di uvaggio. Poi a sera. Quando si è a torso nudo sudati nell'estate il giorno superato, termina la spirale sullo sterrato fuggiasca nel fruscio per non essere calpestata. Scaravento al suolo i segni che vengono raccolti, gambe incrociate nello spruzzo. Di pere a terra da raccogliere mentre il cavalcavia va mostrando sulla groppa, il passato del distributore dismesso e rovinato dalle cartacce emerse; dal taglio di ogni filo d'erba secco o morto che sia.


friabili la spinta ombra densa decelera riposato nodo di cravatta aspro

la parure di ossidiana per il malocchio


( da terminare )

domenica 8 settembre 2013

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 Basilico

L'odor di basilico nell'aria punge i boccioli di rosa l'uomo di colore sulla tangenziale aulica vola suda nella canottiera scatta foto all'oscurità minuscola lungo la via definitiva dei filari di conchiglie. 

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 To struggle to emerge

Il ragno all'aria dell'inferno vibra s'aggrappa alla moneta su cui si muove circolare. Annoda la corda, la giungla infetta lacrima seta sul sangue di cemento. Plastiche trapuntate, i rumori della perdita, le zanzare si cercano affamate. Lacustri glorie con l'avantreno delle memorie sbuffano a mani conserte non è più un cane spoglio che dirige il traffico. Sorprende sapere che i suoni appaiono maculati nello strepitio dei suono mattutini. A tutti parla il cinghiale tra le zanne. La maledizione del manto  indossa da tempo la casa solitaria sotto l'argine in piena landa. Dopo il dosso cremisi, chiatte marcescenti una presso l'altra deformate dal calcestruzzo hanno i fiori di proiettili fuoriescono a zampilli in verticale a racemo. Sulla linea scura dell'intonazione algebrica la luna sbatte sentenzia illacrimabile non rende acque morte o stivate nella tasca posteriore. Viva e piena di tronchi legati sulla verticale si congiunge al vertice. La vetta di miriadi di lanterne nella luce illumina l'orecchio, gli occhi neri come il ribes nero registro il tratto di futuro serpentato sulla bocca. Slaccio la muta inanimata che regge il mio tempo impresso sull'asfalto. Nel respiro mani da Louvre luce da Caravaggio la tua bellezza.




 

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Persona non grata

La vettura parcheggiata in curva del non amore sul drappo steso. Il biancore candido statua avvolta in serpi dimostra all'uomo quanto la polvere fredda esca dalle linee della mani. Denso di tecnologia cristallina conquista nel tuffo il cormorano. Le squame argentee sotto il pelo dell'acqua riconosce il becco rugginoso. Il chiodo conficcato nel calore l'albero segnato a riva. Distratto dall'aquilone nervoso le fronde agitano il regno aeriforme. Mosso dal movimento centripeto  gorghi nelle gambe le budella putrescenti galleggiano sulle acque meravigliosamente lievi. Struzzi informi da lontano da vicino decedute interiora d'oscurità sulla riva; chi non piange non ride decapita il sale dell'abbraccio. Al tramonto vestiti di tutto punto piovono i cadaveri. La luna piena in fiamme incandescenti inquadra l'orologio. Appeso con la cenere sugli occhi pittati, gli animali vivi senza cuore tra un canale e l'altro dell'addome sfidano il cloro per le vie del nibbio bruno l'oca selvatica il gufo il martin pescatore. Che pesca come il cormorano di cuore, fegato, polmoni, sangue, pelle, piume, colori, occhi, il becco. Immersi in un tuffo. Di debiti. E dunque, entrambi lesti nel chiudere la porta con le ali trasformarsi in siluri per quel tuffo. Prestando le ali all'uomo, che si ritrae nei guai con le spalle. E le grinfie di quei guai le quali tubavano di quaccheri, guadagnati dalle vette di saluti sei persona non grata-.