venerdì 16 agosto 2013

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Il buio sonnolento

Il panettone di cemento lancia il fulmine rovesciato, sulla rotaia dall'umore di tabacco, liscio sulla  stuoia; intrecciata in oro che tramonta nuda di tre quarti con l'ausilio del un senso unico alternato. Sul cespuglio, sordo di lavoro che va stringendosi nella la mano in fiamme di periferia. Nel bel mezzo della careggiata; la quale nello svoltare dallo stretto, inviò chilometri di velocità con l'ampiezza di raggi illuminati di gonfie nuvole tronfie; al trotto di cavalli strozzati dalla foga e dalle sciarpe. Col filato a brandelli d'acque non più sintetiche, ora ingessate dalla ferite; che camminano su due ruote  all'alba col manuale d'istruzioni, irto e pungente. Conficcato sullo spartiacque secco dell'estate. Di ognuno. Mostrando in differita la ferita. Alle telecamere dell'arcobaleno spettinato dopo la tempesta che scrosciava, sotto il vetro che movendo il cancello in oro con la scheda acustica, accelerò la nascita del geco. Col nido presso l'orologio. Il quale fisso e rattrappito sulle mura secche o vede o dorme. O non gliene importa di roteare le lancette.     

giovedì 15 agosto 2013

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Il deretano dell'autobus infiammato


La zolla è delimitata dalle proibizioni che liberamente circolano nel flusso cibernetico di rame e zolfo a cubi friabili per la via; col dono della resina gocciolante rosa e attaccaticcia sotto l'incavo dei piedi bianchi, sottoposti alle metamorfosi giapponesi della corda tirata al polso e dalla felpa gialla dalla piega in quattro chiese morte. In ferro e sformate dalla pietra al vento, della tramontana dove una campana pendola da un'impalcatura arrugginita e cigola, nell'annunciare l'acqua al bordo del natante cinguettante sullo scollo della maglia. Finta sin dove gli occhiali  riposano a testa in giù con la sirena della griffe che seduce, con la mirra. In mano, concedendole una riposta nella schiuma della lavatrice inzuppata. Da tutti i panni con l'inchiostro della seppia che sgomita; nel carburante del motore che romba nello sputare l'olio dall'oblò oscurato. Che va vedendo l'orso che l'ormeggio lo scioglie a mano nello stile trekking: corvide con il corno del calzone variopinto dell'affresco di un'erbaccia, che sta nel tema  dalla visiera rigida d'un pugno in aria. Sulle sabbie. Le quali chiedono la pietà massiccia, mostrando il gesso umano, con cui cancellare ogni gesto di linoleum sulla scapola; dove il serpente striscia, e in un baleno attacca. L'odor. Di terra inzuppata dai capelli della cavalla, che si rappresenta in carta pesta sull'asse del legname, flettendo avanti in un sentiment borsistico.  

martedì 6 agosto 2013

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Colazione della moret con la cupola in testa


Sul foro rimestato senza alcun rispetto che la sostiene. Sta l'anello cardinalizio, sul cui dito prevale il color del ferro bruno, di cui piace il volto. Dissepolto dal birillo del tramonto. Che se stesso unge. Tra i capelli, che non esondano  apparendo così incollati al piccolo macigno che, sulla cresta sta in filigrana. E vibra. Onda anomala di confusioni imberbi, con le corolle dall'idioma circonciso, se non vi è nettare per il disco, obolo, cerchio. Di un obbiettivo multicolore che rumoreggia, vuoto, di note a sesto acuto e olfatto proletario nel contorto muschio; specioso al rullar di condizioni avverse. Di cui nessuno sarebbe interessato, tranne la fatalità delle giovani diversità, alle università che non pompano petrolio.