martedì 30 luglio 2013

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 Nothing more, than an act of love, unadorned

Nulla più che un atto. E la semplice via che non ho, si spezzò strappata alla tanaglia della curia.  Impalpabile gufo del non sentisti, decollare infuocato nella carcassa carnosa.  Raccolta dalla strada macilenta non lusinghira gli occhi. Torbidi. Dietro agli occhiali. Su quell'asfalto pieno di feritoie e rattoppi. Scuri che proteggono dal riverbero delle faglie arterie. Incamiciate come fossero cerotti in pietra. Nel balzo dell'aria secca, color di una foglia rugginosa travolta dalla lapide a memoria. La quale riposa sulla parete, dove il potere è inciso di cortecce maculate; e che dire, di questo tempo. Agganciato alle rapidi di smeraldo tra le rocce e il manto, di neve intrecciato come s'intrecciano i capelli di un'attrice al proprio abito ? Discendente porpora sul torrente interrato nel versante opposto agli occhi, dove lo spazio corre. Creando il senso intermedio di ciò che ti auguri, nella sconfitta. Di un flusso. Che alloggia distante. Alla cinghia del pantalone che lega la volpe in quel azzannarti. Se potesse, e può. Ma è battezzata dall'inizio, e ama ciò che non conosce per aristocrazia intramuscolare, come le cime presso l'olfatto e lontane dalla vista. Appuntite dalle pupille del primitivo che va, calzando l'haiku in pelle su sentieri a 17 sillabe dove respirando instancabile, come un Dio. Lascia orme al cuore in quel pulsare.    

giovedì 18 luglio 2013

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 Latet omne verum

I ladri amano le tempeste, che ruminano sulla battigia. Amando chi sciacqua i pesci randagi poi lanciandoli, col respiro sull'argilla. Dopo averli raccolti impiccati alla roccia fossero un segnalibro organico. Affannandosi così, a superare il passaggio a livello, spinato. Dove il semaforo si restringe chiedendo sosta, al bosco. Sempre, foresta, o macchia lenticolare in ciabatte in peltro, che stanno indosso corte. Sulla punta del pungiglione. Dell'insetto di carne molla e refrattaria alla luce, che vola anticipando il vuoto d'aria. I quali per chilometri di peli son rifugio al cane nero di finzioni, che nuotando addenta il sole luminoso portandolo tra le fauci, da una parte all'altra del guado inesperto. E a seni nudi sulla piattaforma in legno, dove i bagnanti odorano le assi color dell'oppio che si brucia come un grumo di riso in bocca. All'incresparsi della pelle che nitrisce al diapason del vento, le verità più profonde e più nascoste.      

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 The web of pentagon

La ragnatela a testa in giù nell'angolo pentagonale vide il gatto indossare  la fortuna  ciondolando. Rimango turbata dal foro nell'anca montanara; polvere friabile ed intricata i pezzi ferrei nella battuta d'ossidiana. Tesa e diamantifera nelle fini elitre itineranti nello sciogliersi in quel librarsi, sulle ugole. Di voci d'acque camminanti. Ad un passo dopo l'altro avanzavano straripanti in flutti tra la gente ignara. Che come formiche andavano gonfiandosi verticalmente di fumi ardenti e rossi; accendendosi, spegnendosi e  prendendo fuoco in quello spegnersi. Sull'alcool posto alla superficie; passeggio odoroso deflagrante in ogni mente liquido ossidandoli nel soleggiato umore d'esplosivi che dal sasso. Della rupe si sporgeva. Per poi infrangersi sulle stringhe. E sugli indugi di quel formare una greppia. Celebrata a freddo. In vetro nella sabbia dell'intelaiatura carceraria a livello vertebrale, ingioiellando il trillo del telefono presso il bottone a quattro fori. Ritrovato nella scarpiera, con lo sguardo su vetusti fiori nel marcare visita all'indietro. Fecero la solita pressione aprendo le distanze di un rettilineo tinto di marrone, legando venti biondi e sporchi allo stop vermiglio del carrello, scivolato nel dirupo.  Spinto da mani ignote, sino al bivio. Dove le teste equine torreggiano su cime di pertiche fiorenti; e ciascuna col tatuaggio sulla gengiva sorridente fissata al rubino presso la miniera, si attiva di cunicoli psicologici con la pietra nera in tasca. Della Mecca, che sfavilla incastonata al dito floreale dell'Afgano d'oro, portiere inghiottito dalla crepa in una seduta di magia nottambula tra le dita intinte. Dall'ologramma dell'amico. Inforcato all'aglio sullo stocco, e affrescato dal circondario della gorgiera; la quale a fisarmonica, intrattiene il cielo e la carne a faccia in su. Come la ragnatela sta viceversa, a testa in giù.