venerdì 27 dicembre 2013

36


 La musica neo aritmetica sul pentagramma


La musica aritmetica si libera gouache sfiorando densa la schiuma, d'incesto d'un apocope al limone. In curva. Uscendo plurima di gran carriera dalle finestre sfarfallando infinitesimali tropici, aprendo in quell'uscire, lame per tagliar. L'acciaio di ogni portiera divaricata al fuso orario, messo in punto dall'elio a diatomee sulla parete dell'emisfero ghiacciato. In fronte. Che poggia il proprio selvatico plantare, sulla verticale di marmitte iperboree. Dalle volute fumanti, e intabarrate d'arance piramidali. Le quali salgono. Mosse dalla gravità. Sulla cucina elettrica intessuta di guano, a quintali e grondaie per chilometri. Al di sopra del ribollir d'acqua ragia. Scuotendo alberi di teste cittadine, scoppiando tortore che scivolano in tutta fretta impigliandosi nell'aria. Presso stelle del firmamento. A fuochi accesi. Che si librano a intermittenza di marroni al cielo. Roventi mine su palme di marines. Vivi. Con molluschi appesi al filo minerario. Falò di mimetica incolore tra le nebbie. A chiazze allineate nel disporsi a flebo, in quel frollare a nubi tutti i giorni. Che dal muretto rigonfiano d'iconostasi l'attenzione. Al gatto che paziente, balza mietendo il plumbeo scomparendo. A puzzle cromatico nel midollo del crinale. Di ogni schiena rivolta a individuarlo meglio. Aguzzando gli occhi verdi che son laggiù da tempo. Illuminati. Sotto l'eretico rollio di brezze a petali iperborei nel definir a pennellate i corpi. Pigmentati e viola, arcuati d'un pezzato canide col cranio ingioiellato, che insegue sull'altare  dimensionando il muso. Dagli amori che verranno. Sotto il colbacco, in pelo d'astrakan.

giovedì 26 dicembre 2013

35


 Lo sberleffo decaduto a rate


Il mite ombrello di fusciacche con gli slip a bordo campa, sotto misura. Di reti enfiate, innodando il wiskey, riscaldando il fuoco dello spary. Disboscando gli alveari uno fianco all'altro, presso onde a grucce rotte che vibrando illuni nell'agganciarsi al verme sgocciolano. Ammoniaca. Raggomitolata sulla via, in mille voci abbottonate divenendo. Albina priva di parure o di collare. Schiacciate al cane da un segnale morso ripetutamente nel rimprovero. Di fulmini e resistenze presso lampade dal vertice vocale. Adiacenti ai fatti, nel ridestare nervature. Le quali ghiacciate. Giungono attirate in cerchio orientando. Il battito di mani per il rettore mite. Di modo che l'estate rimanga fuori, avvolta ad una sciarpa come fosse inverno. Negli occhi d'un avvoltoio il quale sul cornicione appollaiato, si rassegna nello spostarsi. E nello spogliarmi di ogni avere in quelle piume che batte argento volando via: orinando sul triangolo. Prima della lotta e nell'ultima, definendo. Il mondo a suoni uniati in uno sberleffo e poi morire. 

mercoledì 25 dicembre 2013

34


 La colomba d'ulivo sanguinante


Dietro le quinte del preistorico appezzamento. Le lastre rivolte al guru di tutti i tempi. Sono colori luminosi, nei rosari al plasma. Che impattano. Disegnati sull'orlo a pizzi, fulgenti rosa. Nel carillon annesso che scoccando; frecce rivoltandosi di letto in letto; serve gli occhi numerosi a fiocchi, bruciacchiandoli; arsi, rinsecchendoli senza peli e senza acque. Abbronzate, rimuovendo vene: strappate. Dai naufragi. Fiacche di muscoli e carni che si denudano bianche, mimandosi a molteplici specchi. In equilibrio al vento, formando un manichino. Biondo e stinto, con la parrucca privata di furbizia, che va celando. Stupidità: frana di pietrisco cabrio e dal sorriso infagottato che rallentando. Ai margini; sulla cassa armonica. Ode. Lo sciabordio di scarpe al collo, che informano gli scacchi. Sulla scacchiera di metallo e rame, tingendosi di giallo e nero, tra tutti i frutti e prezzi. A flutti. Confondendosi rallentando. La telecamera di retromarcia, che nello svettare. La vedi piegata. Sui corpi minuti di pettirossi, che balzando di rami in rami; e sui rami si amano di cinguettii. Riversi a terra col rametto d'ulivo in bocca per i morti rinsecchiti. Animali. Che non fingono la realtà che non hanno. Travolti sullo sdraio da altri, cadaveri inerti dall'inerme ombra. Che in braccio all'onda sismica si riversa, su tutti gli alberi stempiati che nel boulevard reclamano, per voce contraffatta. I pappagalli in cellophan strampalato, recitanti  poesie dal percussivo riff; che svolazzano di anime avvinghiate ai campanili brulli. Cavalcando misssili terra cielo, trasportandosi all'inferno.         

sabato 21 dicembre 2013

33


 Papillon et le scarabèe



La farfalla abbarbicata al ciglio del burrone mosse la filigrana in vetro delle ali scure scuotendole a fisarmonica stazionando nell'immediatezza; a precipitarsi sull'arancio umido del fondo del bicchiere, e dal fondo, presto ri-decollò; non immaginando di volare, nemmeno di lì a poco d'atterrare prossima al naso: naso d'ottone della lapide nell'angolo della strada, che mostrava in quel suo naso, d'essere il rubinetto col pulsante retro, il quale animava la pressione di uscita per riempir la pentola: dell'acqua con il riso; lo stesso riso lanciato agli sposi più avanti dove la farfalla non vedeva; nè vedeva come il ruscello giù dalla collina adempisse alla sua funzione abitando al mare, nello scivolare al suo passaggio tra le sabbie, il proprio flusso a dorso di coccodrillo, vestito cristallino di sinuosa limpidezza in quell'incontro con il mare immenso, che si distingueva nella fusione col ruscello per avere molteplici detriti: smerigli polverosi e luminescenti dai tratti minerali abbandonarsi annegando docili; e non lo avresti supposto, quanto freddo e allo stesso tempo temperato potesse essere l'acqua in quello scontro tra le correnti; presso il bosco fitto sul versante della radura con quella chierica verde circolare, punteggiata da un albero d'alto fusto in centro, e un altro ancora, qui e là sparsi, la cui coda di legno bruciato e annerita s'innalzava come a preghiera al cielo, sin sulla vetta arrotondata come un dorso d'asino, con una carreggiata che delineava il mezzo esatto nel farsi colonna vertebrale; e il ceppo di legno che si distingueva da lontano sulle sabbie come un trono su cui si fosse seduta ogni divinità ventosa che passasse di lì; con l'unghia di corteccia che indicando il mare e il cielo formava in quel trono lo schienale; e gli oggetti rigurgitati sulla battigia dove il morto in acqua aveva l'ovale illuminato se rivolto al sole e sulle spalle rivestite d'olio la giacca che galleggiava, al tramonto; con quella luce che serpeggiava costellazioni sull'acqua e trafiggeva ogni cosa allungando di quelle cose l'anima con l'ombra; da dove un coleottero forando il buio lo trapassasò, alzandosi in verticale così accendendosi all'occhio umano, e a Dio; vedendo boschi e il mare e gli sposi e la radura, indirizzandosi minuscolo in quel volo, dinnanzi ad un tavolino roteandoci sopra, e superandolo per poi alzarsi in quota di nuovo; non atterrando tra gli sposi e le innumerevoli teste degli invitati con il riso che ancora qualcuno lanciava; ma proseguendo il volo di centinaia di metri avanti, nell'entroterra,  atterrando sul naso d'ottone della lapide all'angolo della strada; dove la farfalla che muoveva a fisarmonica le ali: stava, respirando la sua solita vita; per il coleottero verde smeraldo e abbacinante che la vide da lassù, muoversi nelle ali come a chiamarlo con un cenno animale, egli atterrò poco distante da quella farfalla; e si mise a rovistare avanti e indietro per sapere che razza di posto fosse quel rubinetto a naso di ottone; e quella che si muoveva li in fondo, con quelle due cose sul dorso, e che lo stava guardando; si domandò: ...ma che vuole sta tipa... !?       

32


 Imprimatur

Ascoltarono ignorando la superbia, disquisirsi risuonava schiava nell'affusolarsi imbrattata nel color della pomice affamata; staccava a morsi il pallore d'oro d'ogni diversità, e che l'ombra tenesse per cospargersi dall'effimero; da cui partivano frecce scoccate dal tripudio tronfio; nel lancio l'acqua formava lance accuminate alleate su cui scorrevano intrepidi in fila indiana; le perdite dell'inconscio al primo incrocio il semaforo lampeggiava d'ogni dubbio; appannato ad ore torbide corrispondenti ai lavoranti che sfilavano col fucile: chi a braccio e chi a tracolla allattando il lancio plurimo di sassi mimicamente lussati dai ripiegamenti in frasi; astrali abbrumate dai lavaggi d'intenti luridi; col pronome di Calliope. Uncinante negli spinaci conditi a cerchio col rametto di basilico sull'omero segmentato a fiore vascolare; ai piedi della montagna dispari colma nei dislivelli a fionda magnetica; che crogiolante di nevischio, nel groviglio di un abitato; si vide l'abitacolo ignaro salire e scendere indisturbato i gradini scorrazzando con un foulard in testa al motore coprendo il cofano con un drappo teso, e l'odore della luna che furoreggiava; sulla tangenziale in contromano accellerava una curva, per sbucare più avanti da un sentiero o mulattiera d'un emisfero scosso; e ripercorso dal filobus da cui si lanciavano martelli reticenti; nelle pozzanghere d'inteneriti fianchi. Renitenti a leve per alzare il mondo, ma con vele ricavate da un paio di remi d'acciaio, e la borsa colma di reni degli utenti incamminarsi su scale a chiocciola presso i punti cardinali;  affilati a disegni dal vapore acqueo; che salendo tracciava nella struttura il ponte frantumato. Con l'invitato in rame istoriato, dai canneti ripiegati dal rovescio; salutare per chi l'avesse riconosciuto, con quella mano di legno, e quella vera alzarsi e scomparire, col saluto di rimando. 



venerdì 6 dicembre 2013

31


 Repeat this year and which, in spite of myself


" Ripeterò l'anno tale e quale " disse al brusio dell'unghia, guardandosi le mani, innervate di scogliosi al cubo, affittuarie di capoversi alari; mai dome di assistenze con livrea certificata nell'hangar del sè, d'uno sconosciuto per caso sempre; coleottero sospinto dalle arie vibranti il tuono; agganciandolo all'epopea catarifrangente, accesa presso ogni liana in seta; che abbia la narice affamata dallo zolfo e vincoli, all'indagine della secolare quercia; di colore indemoniato e con l'impiantito verticale dove l'ulivo alto e frondoso in quelle sue movenze; in vasca sta sommerso in acque e porcellana pittandosi sul volto l'anima fumè del bagno; mentre asciugandosi dal mascara; con la scala ritta e obliqua al tetto, precipita nell'olfatto del canale audiovisivo navigando nella chiglia aerodinamica tra i marosi all'insù; mantenendo fermo il faro e con lo sguardo sulla sabbia; ìndice il rettifilo per governar la diocesi; la quale animata di crudeltà parla d'altro raspando la salita morbida, friabile, bagnata, infangando i fianchi gravidi mai mossi, delle maree contrarie; le quali pendono regine, dal corallo che cammina avanti privato della vista; col cane a fianco deambulante e ordinato sino al colore sobrio, il quale marchiato dalla croce rossa nell'ausilio, sniffa e vede addentando gli scalini pieni d'erba, nel muschio del tifone dichiarato morto, e rumoroso dall'unguento adamitico.

domenica 1 dicembre 2013

30


 La Porziuncola


L'albero è incappottato sulla tela dell'ombrello sezionato. Tenuto in pugno dalla mano. Chiusa e dalle dita incurvate nello stringere il manico, col pomello. Poi l'avambraccio, il gomito. E nient'altro, oltre le nubi plumbee sul deserto, dipinto sulle innumerevoli fronti di facce dagli sparuti mezzi meccanici nel movimentare, terra e acque spruzzando. Il modo di deambulare del danaro, è corrotto dalle tubature d'aria verde. Sommessa, nel refolo azzimato e curvilineo di un piano; sul palmo della mano su cui si soffia il cero rosso. Unto e bisunto, dal fuoco che come un manganello respira i colpi addizionando le conchiglie ponendole sullo stiro asciuga, del banco d'ogni pegno. Impegnandosi, a correrre saltando le provincie, le regioni illuminando le corriere di giovani inerti. Con le facce appannate, dai finestrini imbambolati dallo stupore dal nugolo di api, fuoriuscire dalle natiche del manichino. Esposto in vetrina dai commercianti. Provenienti dalla danza notturna, ballando note sorde ad alto volume, e colorando. Pop. I sorrisi ignavi di ricchezza nascosta e povertà manifesta, strappando le pagine del Genesi e dell'Esodo tramutandole in velivoli infuocati di parole che volavano; sulle teste di chiunque abbia la sporta dell'eccesso, tra le mani.        

mercoledì 30 ottobre 2013

29


Ego veni ignem mittere terram ( sono venuto a portare il fuoco sulla terra )

Scalzo al limite dell'abbraccio recedo sul tiepido illetterato letto di spoglie. Chi governa l'occhio dal volto popolare ha l'ìnfinito buco che gli trapassa il nero del cranio. Dove l'aria crolla in una cascata la taurina spalla non supera di slancio l'economia ferma al dollaro. Presso il campanile dai denti rotti le gengive dai calzoni corti si asciugano illuni. Mi adagio sull'amaca, vedo il cielo, la corte, cortigiani, prostitute. La campana in bronzo incarna suoni né tristi né allegri. Origlio il divenire sulla groppa d'ogni nota veste la rondine in cui cade l'agonia del vortice. Stampo alla sommità dell'orrido il respiro glaciale del fango, se mi raggiunge il dito del comando, si atrofizza liberale. Gli scuri di baci e baci si schiudono sullo sguardo dalla finestra, alla chetichella m'inoltro nella poesia, il dolore in groppa mi affligge. Per ora resisto, poi vi condannerò a morte certa, con agonia inclusa nel pacchetto viaggio.   

domenica 27 ottobre 2013

28


 Express


Il fuoco patì il freddo raggiungibile fischio dell'uomo binocolo al collo dell''orecchio fracassato. Sulla neve annerita scesa nello spettro d'un dio menomato. Con la polla di mercurio che piovve innaffiando e oscillando come un'arma sino ai denti, cariati. E finti delle ore di sterminio dal giocattolo di massa. Con l'ombrello aperto, multicolore nell'udire l'inverosimile in uno spiazzo diversificato. Dall'uguale ritmica  di una daga nel frastuono da cui zampilla l'amore d'oro. Di rubini incastonati e accesi nei torti luccicanti come un acquedotto disegnato. Sull'acqua scura allo sciogliersi delle rocce. In fila alle onde impetuose nella forza dell'occhio di smeraldo e ferro, mentre. Tu cammini sul mondo fermo dall'asprezza, fischio rannuvolato dalla lontananza, treno rinsecchito sopra i rami. Controversia di un'allodola che ode nel silenzio il proprio volo avvenuto con i sensi opposti, non addormentati sul guanciale. Evitando. D'intraprendere il tracciato dell'ansia libera, di colori e di esprimersi.    

sabato 5 ottobre 2013

27


 La poltrona decaduta sul rantolo ingessato


Nel walzer di pedalate comuni, il rumore di monili appiedati tintinnò in balia dei venti; agitati dalle vetture che non videro. E non sentirono l'installazione d'una ciglia offesa e fissa, stazionare sotto l'occhio in vetro. Fuori dai fari. Fuori dall'udito. Fuori dai sensi. Nel luogo tetro, dove la campana ruotava nelle molteplici foglie di faggi, irraggiando l'eco visivo di ogni pupilla che circondasse il giardino. Senza mani. Eliminando ogni traccia di qualsiasi sede che fosse stampata sul bordo delle, maglie oppure aggrappata ai muri. A caratteri stradali d'argento e oro. La ragazza stava lì, all'angolo. Aspettando l'autobus, il quale transitò, fermandosi. Sullo specchietto retrovisore. Illuminando il corpo della donna che giaceva sul sedile della vettura, muovendo la propria voce. Chiamare muta, ciò che pareva la testa, o il cranio rivestito di pelle, nervi, vasi capillari, oppure capelli maschili. E nel farlo vide, i vasi dei garofani sul davanzale acconciati per le feste. Ancora lontane; come lontano era il tatuaggio sull'avanbraccio di chi vide nel passare camminando, ignaro. La donna scorse l'autobus sullo specchietto retrovisore illuminarle  la coscienza oscurando: il cielo. Il quale dopo il suo passaggio ricomparve, ripristinando ogni prospettiva d'ombra e luce nel significato non più smemorato. E mosse gli occhi: la donna. Accostandosi al corpo dell'altra di donna, inanimata al proprio fianco. Con la voce; chiamandole il cranio la testa che conteneva materia grigia fuoriuscita. Parlandole con quello sguardo giovane e maturo. Alzò lo sguardo e di nuovo vide i garofani sul davanzale stare lì, immobili tranne quando la brezza li agitava con sonnolenza; e le feste sentirle lontano, e di fronte a quell'immagine  sentì di essere spettinata, col cuore disordinato. Intorpidita.
   

domenica 29 settembre 2013

26


 Lucky star

Docilmente non leggo il distratto riff dell'origine. Nel mondo dell'orbita. Al sapore di fragola, col lattice spento e mammelle d'acciaio. Impiegate. E coscienziose nei sandali, dal respiro felpato con la cintura di Dolce & Gabbana. Foriere di vite monastiche. Nel ciondolo della Mercedes. Argentata clessidra, lì dallo sterno che oscilla presso Cristo di fetide strade. Nel ripiegato senso, di lieve piuma mai bilanciata; e se anche si udisse. Il fragoroso ardore della cascata del fiume, venuto dall'alto. Il quale divise tinte da battiti lontani, potrei dedurne. Che il giallo, su quei musi d'oca e il candore d' unicorno sulle criniere ondeggianti: se impugno il pomello della faretra lo troverei duro e torbido come un arbusto selvaggio. Di colori iridescenti gettati nel munifico mirto, tra. Nubi che tu rimirasti munifiche nello stampare il clamore. Parlando allo stato brado, ininterrottamente da sfere simultanee. Nel litigio di astri remoti, certo. Siamo diversi. In tutto e per niente e non sono altro che ambasciatore che riporta pene su pene. In contumacia, o a piede libero, ma. Così nasceranno pagine lette. Con cura e nessuno colpirà l'amore al costato, tantomeno. Il fabbro lavorerà chiodi al mercato, per inchiodarci per sempre chiunque, poiché ognuno. Se ne andrà per i fatti suoi col proiettile fuoriuscito dal cranio. Tra i denti dell'orso. Che cammina sull'obbiettivo a spirale, nero su bianco.   

25


 Metafora di un Boing 707

Il ramarro in plastica fu l'allegoria di un solco a terra, a portata. Di mani leste in preghiera giunte dall'aldilà, con le chiavi. Ciondolanti nel disossato arrivo, blu dissimmetrico. Spirale attorcigliata al capo. Di un piccione spiumato rialzatosi sino all'ultima, goccia di mirtillo. Gocciante presso l'albero. Dal ramo attorcigliato sulla piega della via d'orata. E tramontata dal senso plurimo. Dove la funicolare tra cielo e terra si contende le marcianti nubi, con le truppe del lavello. In disaccordo. Nel mantenimento corroborato, dalle vetture. Parcheggiate. Che ondeggiavano sui fiori gialli della coscienza, allontanando la riparazione dell'hangar torvo. Dall'ombrello del corteo funebre e funesto marciante. Sulla cresta di ogni fiore e pulpito di un bacio per l'eternità. Aerodinamica nel Boing 707 che corre sulla fascia dando sguardi e lanciando dardi per l'area di rigore. Crossando gli occhi nello sfocato lutto sulla rotta in volo, dalla finestra. Della lavandaia e poi della domestica. 

24


L'inizio della fine

La culla arcuata partorì il gabbiano privo di contratti né smoking rosso per l'occasione; e lo vedemmo destreggiarsi. Nell''hangar al cospetto di migliaia d'idrocefali. Dalle labbra smerigliate e brufoli di nevischio in calce, sulle guance. La luna in bocca, ora arancio, ora verde, pelata con la lingua riluceva di nuovi orari grassi e mattinieri. Come intinti tra i capelli e bigodini diamantati nella parabola sulla sfera raggomitolata presso la miniera. Di oracoli pittati nel metano. E primavere rivolte a venere fiorita nella memoria, se nel farlo. Si specchiò nell'acqua glabra increspandola di notizie immerse al blu col salto nello smog. Per ogni arciere, che avesse chiuso la cerniera con la zip, sino al limite dell'orizzonte. Incatramato nel sudario, crivellato di monete e fori. Dove ogni donna per truccarsi s'abbottona sulle labbra, schiere di penombre e afflati tridimensionali. Per poi sollevare l'aurora imprimendogli nel lutto, il sorriso terso dei venti gelidi nei cappelli dalla tesa in oro e i monili luccicanti, mai così rassicuranti. Assieme al dente unico dilavato, che va spiovendo dagli artigli sulle teste di tutti noi mimetizzati, di acque chete.   

23


 L'omero tatuato

La totalità dei precipizi liquefatti in chiavi ardenti. Nel montar tatuaggi in molte carni. Candide di crani e di candore tra le cucite volte nel paragrafo del kilim. Dove ogni fiume legato al collo, esonda. Dal taschino di colori maledetti. Nella cuccetta presso il mare. Che svirgola tra i passanti, ignari a quel trambusto di rotaie. Di cui essi vanno sospettando. Siano nudità del piano. Che sulle cravatte suona, senza lira né trombone. Nel buio salendo quieto. Invitando ciascun'aurora, bofonchiando fumi affumicati. A intermittenze sulle elitre di un mogano. In verticale aperto. Di cassetti nella scomparsa. Di delitti e di destini. Col revolver color d'acciaio, sotto le mutande e canottiere. Furioso irrompe. Col coltello la trapunta e il faro pendulo. Come a perder l'occhio, vedendo guercio. Col neonato in braccio, mentre piove il gelo. In un giorno indaffarato.

22


 Le porte della metropoli

Presso la metropoli di filo circolare, l'orbita del nome stampa su pergamena l'isola attraverso balzi  edili che dalla sirena son soccorsi nel loro controllare. L'orologio di nevischio al polso che va scendendo e suona. Carillon nel simulare il tempo il quale rovesciato di rumori, con gli anelli nell'infrangersi, disgusta le mimetiche dell'albero. Con la torcia puntata nella diretta in cima al nido di schiume ardenti dove col pennino si va instaurando in plurali. A volti intonsi col naso spartiacque di frasche caduche e accatastate tra i filari di color champagne. Impomatate da un segugio che sbevazza. Ogni ora sul proprio figlio. Che pur pregando, si disse. Stessero in coppia nudi e col guinzaglio. Venduto a poco da qualche rana. Impantanata nella melma e cimata dalla parrucchiera in fango. Presso il guscio, e impreziosito dalle pietre dell'orgoglio ascensionale in quel disdoro. E si ode il risuonar dei tacchi all'aria; nell'accendersi di tranquillità. Col gas che aiuta in spese multiple, appresso a sporte piene quando si chiudono le porte. Bum. La capocciata alle porte vetro aperte. No chiuse.       

21


 La parentela degli inquirenti

La donna degli inquirenti, pompava ampiezze negli strumenti; donando freschezze d'istruzione in effrazioni a bandiere urgenti. Asciugandosi le mani ai piedi flessi, nello sbiadito vento di un giovane animale. Dalla capiente zucca, cementata tra le mani. In divinità di piogge rivettate, col foulard termo stampato. Nel giardino. Di sassi in superficie, non esalanti lo smeriglio di fioriti odori, sebbene nei midolli si decantassero fresco, il vino. Imbottigliato e conservato sul cucchiaio d'istruttoria, dopo il caffè. A raggio luminoso. Divaricato nell'impalcatura, dove non potrei immaginarla. Se non pescando per ore, isolato dalla grandine di altura. Carteggiando incondizionatamente i congiuntivi. E fresando i trapassati sulle lapidi circoncise. D'incapaci assai remoti. 

sabato 28 settembre 2013

20


 Kill em with kidness

Ci trovi in tutte le direzioni osserviamo il cielo a colonne vertebrali ombre sulle schiene carbonizzate trasportiamo insetti; con lo Smarth- Phone messaggiamo sul calesse in conto vendita  rame ottone. Il ghiaccio attende gli steli s'infila tra pettine capelli. Affamato sul sentiero diurno, ruvido sto nella fila di peli d'acqua increspati. Sull'onda anomala al sole animo di proiettile rendo il moderno colabrodo demodè. Il sangue zampilla e fuoriese a fiori in gomma. Dalla fessura di quel tubo il giorno spiove sull'asino mentre inforco l'occhiale astigmatico. Le penne invadono l'ossigeno, bianche sgocciolano in mille inchiostri annaspo a corsie umidicce su tutta Europa. Al buio vedo zolle in orbita. Le rane adiacenti alle finestre entrano ed escono dai teschi, la rosa nera in bocca. Tra i denti technicolor delle ragazze il fiotto del pubblico a fiordo finnico sul collo fissa acari pendenti e memorabili sull'amore: tuffi lapislazzuli raggomitolati a fiocco d'oca nello stagno dell'haiku. Il brusio provinciale è della ricchezza non più di moda che simula la povertà. Uccido con dolcezza porgendo la mano nera ai benvenuti color fucsia, abito che scintilla pop fuoco sulle fiamme. Al volto della Musa invio il labiale femminilità meravigliosa un bacio ogni volta che la intravedo recito il Pater Noster al cospetto di piccoli demoni intuiscono ma non sanno volare nemmeno fare scalo sui fiori tantomeno respirano l'amore da cui odo sentimenti eterni nè il mio cuore.


    

venerdì 27 settembre 2013

19




Nella curva trafficata la femminilità Islamica controlla il tallone togliendosi la scarpa slacciandola d'allucinazioni. A stringhe rigide la festa marcisce sul palato del ramarro in rapida fuga, individua il confine e mastica. Tra l'asciutto l'umido rosa della cascata dista il pezzo debole. Intervengo con la tastiera tra le rocce prive di guarnizioni fragorosa dei cingoli, avanzo pentagramma. A gran voce apra la spaccata della lama duale col melograno abbottonato digerisce la propria meridiana. Umori tracce sulla sabbia la malinconia a righe orizzontali. Confluenti al violino in jeans filigranato, dalle intemperie lei prorompe col maquillage nel denim; al passo attillato la parure. L'oca sghiaccia a monte il cestello, stesa batte il sax metronomo, la notte di piacere sul cuore, seppur spinato si mostra lentamente invescata a quadri senza applausi. Come quando ci si rammenta di vivere contraddetti nei silenzi. E la cimice acerba nella nicchia più volte in vetro svanì dagli occhi. Non può diversamente. Con il tanfo la vespa impazza di scaramucce gioia, nel dolore la schiena infila il proprio pungiglione sull'odor di uvaggio. Poi a sera. Quando si è a torso nudo sudati nell'estate il giorno superato, termina la spirale sullo sterrato fuggiasca nel fruscio per non essere calpestata. Scaravento al suolo i segni che vengono raccolti, gambe incrociate nello spruzzo. Di pere a terra da raccogliere mentre il cavalcavia va mostrando sulla groppa, il passato del distributore dismesso e rovinato dalle cartacce emerse; dal taglio di ogni filo d'erba secco o morto che sia.


friabili la spinta ombra densa decelera riposato nodo di cravatta aspro

la parure di ossidiana per il malocchio


( da terminare )

domenica 8 settembre 2013

18


 Basilico

L'odor di basilico nell'aria punge i boccioli di rosa l'uomo di colore sulla tangenziale aulica vola suda nella canottiera scatta foto all'oscurità minuscola lungo la via definitiva dei filari di conchiglie. 

17


 To struggle to emerge

Il ragno all'aria dell'inferno vibra s'aggrappa alla moneta su cui si muove circolare. Annoda la corda, la giungla infetta lacrima seta sul sangue di cemento. Plastiche trapuntate, i rumori della perdita, le zanzare si cercano affamate. Lacustri glorie con l'avantreno delle memorie sbuffano a mani conserte non è più un cane spoglio che dirige il traffico. Sorprende sapere che i suoni appaiono maculati nello strepitio dei suono mattutini. A tutti parla il cinghiale tra le zanne. La maledizione del manto  indossa da tempo la casa solitaria sotto l'argine in piena landa. Dopo il dosso cremisi, chiatte marcescenti una presso l'altra deformate dal calcestruzzo hanno i fiori di proiettili fuoriescono a zampilli in verticale a racemo. Sulla linea scura dell'intonazione algebrica la luna sbatte sentenzia illacrimabile non rende acque morte o stivate nella tasca posteriore. Viva e piena di tronchi legati sulla verticale si congiunge al vertice. La vetta di miriadi di lanterne nella luce illumina l'orecchio, gli occhi neri come il ribes nero registro il tratto di futuro serpentato sulla bocca. Slaccio la muta inanimata che regge il mio tempo impresso sull'asfalto. Nel respiro mani da Louvre luce da Caravaggio la tua bellezza.




 

16


Persona non grata

La vettura parcheggiata in curva del non amore sul drappo steso. Il biancore candido statua avvolta in serpi dimostra all'uomo quanto la polvere fredda esca dalle linee della mani. Denso di tecnologia cristallina conquista nel tuffo il cormorano. Le squame argentee sotto il pelo dell'acqua riconosce il becco rugginoso. Il chiodo conficcato nel calore l'albero segnato a riva. Distratto dall'aquilone nervoso le fronde agitano il regno aeriforme. Mosso dal movimento centripeto  gorghi nelle gambe le budella putrescenti galleggiano sulle acque meravigliosamente lievi. Struzzi informi da lontano da vicino decedute interiora d'oscurità sulla riva; chi non piange non ride decapita il sale dell'abbraccio. Al tramonto vestiti di tutto punto piovono i cadaveri. La luna piena in fiamme incandescenti inquadra l'orologio. Appeso con la cenere sugli occhi pittati, gli animali vivi senza cuore tra un canale e l'altro dell'addome sfidano il cloro per le vie del nibbio bruno l'oca selvatica il gufo il martin pescatore. Che pesca come il cormorano di cuore, fegato, polmoni, sangue, pelle, piume, colori, occhi, il becco. Immersi in un tuffo. Di debiti. E dunque, entrambi lesti nel chiudere la porta con le ali trasformarsi in siluri per quel tuffo. Prestando le ali all'uomo, che si ritrae nei guai con le spalle. E le grinfie di quei guai le quali tubavano di quaccheri, guadagnati dalle vette di saluti sei persona non grata-.       

venerdì 16 agosto 2013

15


Il buio sonnolento

Il panettone di cemento lancia il fulmine rovesciato, sulla rotaia dall'umore di tabacco, liscio sulla  stuoia; intrecciata in oro che tramonta nuda di tre quarti con l'ausilio del un senso unico alternato. Sul cespuglio, sordo di lavoro che va stringendosi nella la mano in fiamme di periferia. Nel bel mezzo della careggiata; la quale nello svoltare dallo stretto, inviò chilometri di velocità con l'ampiezza di raggi illuminati di gonfie nuvole tronfie; al trotto di cavalli strozzati dalla foga e dalle sciarpe. Col filato a brandelli d'acque non più sintetiche, ora ingessate dalla ferite; che camminano su due ruote  all'alba col manuale d'istruzioni, irto e pungente. Conficcato sullo spartiacque secco dell'estate. Di ognuno. Mostrando in differita la ferita. Alle telecamere dell'arcobaleno spettinato dopo la tempesta che scrosciava, sotto il vetro che movendo il cancello in oro con la scheda acustica, accelerò la nascita del geco. Col nido presso l'orologio. Il quale fisso e rattrappito sulle mura secche o vede o dorme. O non gliene importa di roteare le lancette.     

giovedì 15 agosto 2013

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Il deretano dell'autobus infiammato


La zolla è delimitata dalle proibizioni che liberamente circolano nel flusso cibernetico di rame e zolfo a cubi friabili per la via; col dono della resina gocciolante rosa e attaccaticcia sotto l'incavo dei piedi bianchi, sottoposti alle metamorfosi giapponesi della corda tirata al polso e dalla felpa gialla dalla piega in quattro chiese morte. In ferro e sformate dalla pietra al vento, della tramontana dove una campana pendola da un'impalcatura arrugginita e cigola, nell'annunciare l'acqua al bordo del natante cinguettante sullo scollo della maglia. Finta sin dove gli occhiali  riposano a testa in giù con la sirena della griffe che seduce, con la mirra. In mano, concedendole una riposta nella schiuma della lavatrice inzuppata. Da tutti i panni con l'inchiostro della seppia che sgomita; nel carburante del motore che romba nello sputare l'olio dall'oblò oscurato. Che va vedendo l'orso che l'ormeggio lo scioglie a mano nello stile trekking: corvide con il corno del calzone variopinto dell'affresco di un'erbaccia, che sta nel tema  dalla visiera rigida d'un pugno in aria. Sulle sabbie. Le quali chiedono la pietà massiccia, mostrando il gesso umano, con cui cancellare ogni gesto di linoleum sulla scapola; dove il serpente striscia, e in un baleno attacca. L'odor. Di terra inzuppata dai capelli della cavalla, che si rappresenta in carta pesta sull'asse del legname, flettendo avanti in un sentiment borsistico.  

martedì 6 agosto 2013

13


Colazione della moret con la cupola in testa


Sul foro rimestato senza alcun rispetto che la sostiene. Sta l'anello cardinalizio, sul cui dito prevale il color del ferro bruno, di cui piace il volto. Dissepolto dal birillo del tramonto. Che se stesso unge. Tra i capelli, che non esondano  apparendo così incollati al piccolo macigno che, sulla cresta sta in filigrana. E vibra. Onda anomala di confusioni imberbi, con le corolle dall'idioma circonciso, se non vi è nettare per il disco, obolo, cerchio. Di un obbiettivo multicolore che rumoreggia, vuoto, di note a sesto acuto e olfatto proletario nel contorto muschio; specioso al rullar di condizioni avverse. Di cui nessuno sarebbe interessato, tranne la fatalità delle giovani diversità, alle università che non pompano petrolio.   

martedì 30 luglio 2013

12


 Nothing more, than an act of love, unadorned

Nulla più che un atto. E la semplice via che non ho, si spezzò strappata alla tanaglia della curia.  Impalpabile gufo del non sentisti, decollare infuocato nella carcassa carnosa.  Raccolta dalla strada macilenta non lusinghira gli occhi. Torbidi. Dietro agli occhiali. Su quell'asfalto pieno di feritoie e rattoppi. Scuri che proteggono dal riverbero delle faglie arterie. Incamiciate come fossero cerotti in pietra. Nel balzo dell'aria secca, color di una foglia rugginosa travolta dalla lapide a memoria. La quale riposa sulla parete, dove il potere è inciso di cortecce maculate; e che dire, di questo tempo. Agganciato alle rapidi di smeraldo tra le rocce e il manto, di neve intrecciato come s'intrecciano i capelli di un'attrice al proprio abito ? Discendente porpora sul torrente interrato nel versante opposto agli occhi, dove lo spazio corre. Creando il senso intermedio di ciò che ti auguri, nella sconfitta. Di un flusso. Che alloggia distante. Alla cinghia del pantalone che lega la volpe in quel azzannarti. Se potesse, e può. Ma è battezzata dall'inizio, e ama ciò che non conosce per aristocrazia intramuscolare, come le cime presso l'olfatto e lontane dalla vista. Appuntite dalle pupille del primitivo che va, calzando l'haiku in pelle su sentieri a 17 sillabe dove respirando instancabile, come un Dio. Lascia orme al cuore in quel pulsare.    

giovedì 18 luglio 2013

11


 Latet omne verum

I ladri amano le tempeste, che ruminano sulla battigia. Amando chi sciacqua i pesci randagi poi lanciandoli, col respiro sull'argilla. Dopo averli raccolti impiccati alla roccia fossero un segnalibro organico. Affannandosi così, a superare il passaggio a livello, spinato. Dove il semaforo si restringe chiedendo sosta, al bosco. Sempre, foresta, o macchia lenticolare in ciabatte in peltro, che stanno indosso corte. Sulla punta del pungiglione. Dell'insetto di carne molla e refrattaria alla luce, che vola anticipando il vuoto d'aria. I quali per chilometri di peli son rifugio al cane nero di finzioni, che nuotando addenta il sole luminoso portandolo tra le fauci, da una parte all'altra del guado inesperto. E a seni nudi sulla piattaforma in legno, dove i bagnanti odorano le assi color dell'oppio che si brucia come un grumo di riso in bocca. All'incresparsi della pelle che nitrisce al diapason del vento, le verità più profonde e più nascoste.      

10


 The web of pentagon

La ragnatela a testa in giù nell'angolo pentagonale vide il gatto indossare  la fortuna  ciondolando. Rimango turbata dal foro nell'anca montanara; polvere friabile ed intricata i pezzi ferrei nella battuta d'ossidiana. Tesa e diamantifera nelle fini elitre itineranti nello sciogliersi in quel librarsi, sulle ugole. Di voci d'acque camminanti. Ad un passo dopo l'altro avanzavano straripanti in flutti tra la gente ignara. Che come formiche andavano gonfiandosi verticalmente di fumi ardenti e rossi; accendendosi, spegnendosi e  prendendo fuoco in quello spegnersi. Sull'alcool posto alla superficie; passeggio odoroso deflagrante in ogni mente liquido ossidandoli nel soleggiato umore d'esplosivi che dal sasso. Della rupe si sporgeva. Per poi infrangersi sulle stringhe. E sugli indugi di quel formare una greppia. Celebrata a freddo. In vetro nella sabbia dell'intelaiatura carceraria a livello vertebrale, ingioiellando il trillo del telefono presso il bottone a quattro fori. Ritrovato nella scarpiera, con lo sguardo su vetusti fiori nel marcare visita all'indietro. Fecero la solita pressione aprendo le distanze di un rettilineo tinto di marrone, legando venti biondi e sporchi allo stop vermiglio del carrello, scivolato nel dirupo.  Spinto da mani ignote, sino al bivio. Dove le teste equine torreggiano su cime di pertiche fiorenti; e ciascuna col tatuaggio sulla gengiva sorridente fissata al rubino presso la miniera, si attiva di cunicoli psicologici con la pietra nera in tasca. Della Mecca, che sfavilla incastonata al dito floreale dell'Afgano d'oro, portiere inghiottito dalla crepa in una seduta di magia nottambula tra le dita intinte. Dall'ologramma dell'amico. Inforcato all'aglio sullo stocco, e affrescato dal circondario della gorgiera; la quale a fisarmonica, intrattiene il cielo e la carne a faccia in su. Come la ragnatela sta viceversa, a testa in giù. 

mercoledì 19 giugno 2013

9


 La fotosintesi della vestale in bikini

Di colori antropomorfi, ci si va iodando il capo lustrando. Il giallo. In plastiche arie di mele sparse tutte al verde, sulla curva della tangente nera dove sta il papavero arrossato. Di vele. Dalle ali di cemento iscritte, sull'affresco di una faccia rannuvolata vista; e poi rivista sulla linea della mano che snocciola un pensiero dopo l'altro. Di giornata. Come il pane, per la regola del pinzimonio. Che come un fiume nel crocicchio, si va confluendo nella fogna di un mestierante altolocato. Dalle miriadi di cubetti in porfido. Che nel latrare. Tra le tasche rivoltate di diamanti, esplode in bizzarri suoni con le ombre affilate, di candori a maniche corte. Con la vettura al sole estremo, che s'indovina essere riposta nella farfalla. Di primo acchito bianca, divenendo a pois dorati. E lilla nella sapienza del telaio con l'astuccio a quattro tempi aperto. In fuoco e fiamme siderali entrambe nell'abbraccio che divampa dimenandosi sulla rotula accatastata, sul davanzale. Con la ghiera che circolando col binocolo in riva al mare si pettina screpolato. Osservando. Mani sconosciute e innalzate, del sacerdote con la donna senza dote. Che stanno. Con un lume agli occhi, e un falò nel cuore.     

lunedì 17 giugno 2013

8

Spengo le dita transeunte, abbrustolite sulla via del sole endemico, rimirando tra le mani il laccio che mi traccia gli occhi nella trasformazione della palude sulla chiatta delle deroghe; chiatta emostatica che compare alla cupola illuminandola; di luna verticali; in squarci luridi bovini combattenti sulle ore controverse contro vento; per conto terzi parcheggiati al limitar del bosco, manifestano il mondo appallottolato all'orbita programmata; in cui non si distingue l'immediatezza poco avanti arrugginita; da un revolver sul ciglio della colomba glabra; le manie hanno l'obbiettivo a spirale nel mirino, di un rifugio bruno dalla forma ad esca e col labbro rosa dalla ricurva punta. Che non si distingue più, su nessun pianeta giudiziario o velivolo trasformista che durante il volo, risuoni in un barlume di giustizia. Che si riverberi insinuandosi nella crisi. Del libro professionista o chiunque esso sia, col minor potere contrattuale salvo le eccezioni di ciascuno, con la parte normativa nell'impugnativa crespa.         

martedì 28 maggio 2013

7


 L'asprezza perturbante

Quando schiaccio l'insetto sulla tavola durante l'esperimento mi rimane il blu colore predominante, lapislazulo cruento macchia che circola dal sudore al sole sin sulla visiera. Endocrina e mansueta batte come una scacchiera nuova, diverse gradazioni guglie dalle quali sbucano rovi, cespugli, dal risparmio antico, di là i tetti. E' innegabile di quel vaso comunicante la galleria è parabola anomala.  Dal pollice col ditale regolo l'abbeverarsi al verde rame oppure all'ottone pomello a forma di cipolla il quale, per quanto boa nei riferimenti diagonali indaga il degrado sulle onde multietniche dello sparo al buio. Da un'ennesima scacchiera in quell'albero dall'alto fusto, attraverso il riquadro nero, mentre ombreggia il bianco spada  nell'impeto che trafigge il ragionamento incline allo scoglio.  



domenica 12 maggio 2013

6


 L'idiota nell'orbita del cappio ellenico


brillò il sole, fulgido dalle succinte vette. Le vedemmo, col chiodo infisso nella roccia che passava con l'aritmetico rumore. Ancorato dalla braga nera al volatile. Sui coppi in vetro, che si librava. Trascolorando. Dal grigio, poi nel verde, e nell' azzurro andando, verso il treno per sferragliare in bocca. Illuminando. L'intestino del mare appuntato e scoperchiato di cupole dall'elmo ellenico. Raggrinzito. Girato dalle ruote del mulino. Nel volare cadendo in una scheggia ruzzolante, infilata nel manico del secchio. A metà, della via scoscesa. Sulla corsa verticale dentro il pozzo. Circondato da mattoni in secca. Brandendo, da una parte il cielo e dall'altra gli occhi vuoti.

5


 La carrucola dal trillo lenticolare

La notte nacque dal violino sul pull over  transitava fluente sulla chiatta oscura. In quell'ora zeppa i fiori duri rilasciavano suoni parcheggiati ai bordi della piscina azzurra, col mosaico insonorizzavo i viandanti nudi e pieni. Limacciosi limati dal legno mercuriale, segaligni, mummificati, provenivano ventilati dalle lune d'oro all'alluce. Col respiro argento le polveri magnetizzate sul rivolo della linea obliqua vegliano la rottamazione. Separa Giove alla saldatura in ombra del treno. Le danze irrise al limite della gonna a balze schioccano al ritmo del fulmine sui capelli uno ad uno per poi infilarli nella cruna. Cucio con ago filo i paesaggi dal gocciante luccicore. Al nord spalanco la pulizia etnica presso il Caucaso castigo le correnti ascensionali tra gorghi e piazze colme di cadaveri dai denti in fiore. 

domenica 28 aprile 2013

4


 La caduta complicata delle carte


Sfodera la vernice, la tavola rotonda sul territorio che arrangiandosi sull'azzardo, vola. Incontaminato al volto, il diseccitato retrò di lusso. In lingerie col pizzo, nel Gallio e nel Germanio che non pensano, di tramare una sorta d'immagine devozionale di suor pinguedine, sulla scalea del nervo sciatico, e di ciò. Si discusse di quanto il suo passato fosse pieno d'indizi in merito: dall'arte preventiva della pizza, allo sguardo archetipo e mai mogio, di stravolgimenti interiori, in continua angoscia pacata nel calamo ad imitar, la più personale resa. Interiore, di rilucente forma. E torma in panne nel crocicchio indebitato di velluto, di lillà. E come fari. Dal pullman. Le rose in fiore, a mostrare il loro flauto in vetroresina, ormai arresa ai businnes scuri nell'occhiale combusto al sole, con l'etichetta agganciata al filo. Di seta per il punto, ago e filo nell'eccelsa classe. Di merito, cementata in nebbie incompetenti, ed incombenti, nel silente mostrar le viscere dalle cuspidi, rosse. Sui motori posteriori dove rimbalzano le schegge.      

3

Roll out


La donna a sfumature elettriche si rasa con un tonfo dal letto. Economicamente perpendicolare traccia le gambe divaricate sul simbolo del mercurio dall'alto al basso, discende con la lingua sullo sci del doppio petto; esegue la marcia trionfale aprendo lo spiraglio alla brezza che soffia dove vuole. Siepe spartitraffico la semenza viaggia a finestrini chiusi e a piene mani la moneta corrente dilaga nel pugno della povertà in cui la quiete è preferibili alla noia. Mi distraggo sul prato con la briosce nella tasca, simile al doppio guanto rivoltato dall'interno dell'estate. La galleria raggomitolata nel controsenso lo controllo a modo di nodo di cravatta allo specchio d'autunno. Accarezzo il Golden retrevier: ho sempre amato la fedeltà. Steso tra cartelli militari distanziati dall'inossidabilità delle coscienze, taglio i filari di vite, dal versante in poi raggiungerò il culmine del consumo. Tra domande che s'involano, e domande luride nello stanziale, alla visita tronfia da quel cornicione, col binocolo la visita si conficcherà nel diametro che si indica sul dito. Ghiacciato dalle viscere trattengo l'ormeggio alla catena, presunta serpe nera in fregola nel sacco industriale.


    

sabato 27 aprile 2013

2


 L'alcova nella fusoliera del regime

Soggiorno nei bigodini calibro nove e sessantacinque in testa. Presso l'allegria tingo e cesello l'oro, salto negli sbalzi issati dalle gru gialle. Perdo le rendite di posizione acquistate col pisside cappelluto che ad orbita agito come fosse nacchera voodoo. Si adagiano le vendite al mattino presto. Presso le erbe sacre lego ciò che resta sulla punta della lancia. Col revolver collaudo i bossoli nel crogiuolo. Le presenze umane sono concepite sensori, saggiamente contorte. Innesto tubi catodici spettacolari e la rima arrotonda l'educazione a cingoli per tutti. Nel bicchier d'acqua dove non si annega digito il nevischio ringiovanito lo appallottolo presso il forno a dodici ore dall'intuizione. La tinta legata al buio si sviluppa degna ruotandomi a caldi baci innamorati. Sul litorale cammina la luna nuota al collare d'una schiera di cappelli trucchi ciondoli cani al guinzaglio. Sul quadrante liquefatto le saldature concorrenziali i fili acquitrinosi pendono collegati al pandemonio del monarca. Attorniato da ghiere d'acciaio il fiume rende mani non più immerse. Presso il sale originario pesco sacchi di monete a princìpi fulgidi, in quel galoppo rotuleo che controlla teche solari al limitar del bosco.       

venerdì 26 aprile 2013

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 Polla inquinata

La nomenclatura tace sul riflusso d'ogni irraggiamento. Nei vagoni pieni di limoni accatastati il mio tocco magico è ruota che scorre libera nell'occhio. Il girasole colpevole di ammassarsi tra consimili fugge al dramma, la certezza è la condanna che dissabbia i profughi nella fossa. Il passato danza attraverso la volé carminio di sole e spazio. Ora nell'ictus dilavo le scorte, incorono la campana nel plexiglass. Ai ferri corti, la donna accuminata odia rivolgersi a se stessa, il fuoco dell'impegno arde sul corpo, brucia avvolto nella plastilina. Superficie spessa su cui reggo dall'inizio del millennio sudari, debiti, politici incartapecoriti, nel mare sciacquo, nel salino avveleno. La gerla colma d'acqua dove siede il gabbiano dal becco ricurvo inventa linguaggi metafisici meta che riluce a sfera. Nella faretra dardi avvelenati, mi specchio la notte sulle labbra, rendo la finestra gelida e rassicurante. Immerso in questa polla d'acqua inquinata discuto con Venere rivoluzionaria la morte futura del nemico. Truce, liscio, vispo fluorescente, la smorfia arcuata a cadavere nell'orecchio di chi dissente.